La funzione essenziale di un’economia industriale è produrre cose: quante più cose produce, tanto più sarà il suo guadagno. Insieme alle cose, nell’era della globalizzazione, si è iniziato a produrre marchi e immagini che creassero da soli il valore di cosa rappresentavano, il marketing ha preso il sopravvento sull’oggetto e sul luogo dove lo si vendeva, e le aziende si sono orientate a far produrre le cose ad altri, in remote parti del mondo, e a lasciare al loro interno il marketing del brand e delle immagini.
Se tutto questo è tristemente vero, qual è il ruolo che è possibile immaginare per il marketing della fedeltà nel prossimo futuro? Si può tentare una risposta assegnando al loyalty marketing il ruolo di depositario e testimone dei valori dell’azienda, i valori non visibili nel brand e nella comunicazione, quelli che toccano il cuore della relazione con la clientela, sempre più infedele per necessità e che mostra nuovi comportamenti di acquisto e di consumo, alcuni dei quali ritornano anche dal passato. Superata l’attenzione al prezzo, ora siamo in una fase dove l’attenzione è alla sopravvivenza tout court e l’azienda, ogni azienda produttrice o distributrice, deve avere a cuore la sopravvivenza della propria clientela. Rendere il ruolo del marketing della fedeltà funzionale alla sopravvivenza dell’azienda e della clientela diventa il nuovo imperativo. E per farlo occorre rivedere i fondamentali, che in questo settore sono la segmentazione della clientela per individuare comportamenti di consumo che possono essere soddisfatti guardando non più alla totalità dei clienti ma a piccoli gruppi. All’insostenibilità della leva promozionale deve fare posto una leadership di relazione che usi la tecnologia per creare un vantaggio competitivo che non venga superato facilmente anche se replicato. Per le imprese distributive diventa centrale comprendere il valore di tutti i futuri flussi di profitto generabili da gruppi omogenei di clienti, utilizzando il punto di vendita non più soltanto come luogo dove il prodotto viene esposto, ma anche come luogo dove si ascolta e s’interpreta il bisogno del cliente; per le aziende industriali diventa invece fondamentale dare al brand orientamento etico e sociale, comunicando costantemente questi valori anche con l’utilizzo dei social network, per far sì che si attui quel circolo virtuoso che Adam Smith in “La ricchezza delle nazioni” così descrive: “Le aziende hanno più probabilità di sopravvivere se comprendono l’egoismo che perviene dalla necessità, e trasformare questo potenziale di crisi a loro favore, dimostrando proprio il vantaggio di produrre ciò che il mercato desidera”.