Lobbista non è una parolaccia

Redazione17/01/2014

Nell’uso comune dei media e nella percezione dell’opinione pubblica la parola “lobby” è sinonimo di gruppo di pressione che, complottando da dietro le quinte, mira a sostenere con la corruzione oscuri interessi a favore di potentati vari: aziende, banche, gruppi finanziari, istituzioni e politici. Le varie P2, P3, P4 o certi club, come per esempio la Commissione Trilaterale, il Gruppo Bilderberg, Aspen Institute, faccendieri alla Bisignani & c., corruttori di politici operanti all’interno delle istituzioni in Italia e in Europa vengono correntemente definiti lobbisti e viene definita lobby la loro attività, su cui i media esercitano scarso controllo. Nascono così e si alimentano trame oscure, sospetti di complotti disposti da misteriose, potentissime supersegrete lobby sovranazionali, cui non sfuggono nemmeno l’omicidio di John F. Kennedy e le traversie politico-giudiziarie di Silvio Berlusconi.

Il libro di Pier Giorgio Cozzi (“Professione lobbista. Portatori d’interesse o faccendieri?”, Lupetti editore, Milano, settembre 2013, pagg. 264, euro 16) sostiene invece che, in un contesto pluralista, la lobby, in quanto legittima e trasparente rappresentanza di interessi di aziende, associazioni, enti o gruppi presso le istituzioni centrali e periferiche (stato e regioni), sia l’alternativa democratica al malcostume e alla corruzione dilaganti.

Diviso in quattro parti, il testo passa in rassegna il lobbismo com’è conosciuto nel mondo occidentale; illustra articolatamente le tecniche per fare lobby; prende in considerazione il “caso Italia”, le leggi anticorruzione e gli eventi collegati a questo fenomeno. L’ultima parte è una appendice riferita alla descrizione dei provvedimenti legislativi e normativi presi da Unione europea, stato e regioni per “agire” nei confronti delle lobby.

Aggiungono interesse al volume: la descrizione di alcuni casi italiani di lobbismo che hanno riscosso successo, delle associazioni nazionali di relazioni pubbliche e di public affair, le  considerazioni di Paul Seaman sull’attualità degli stakeholder e sul cambiamento in atto della loro funzione nell’impresa e nella società.