Gli arredamenti e gli accessori logori con le loro abrasioni, le cromie stinte sono un’espressione del messaggio filosofico e spirituale wabi-sabi, della contemplazione dell’imperfezione e del costante flusso delle cose
Nel cuore di Manhattan, all’888 della Broadway, esiste un punto di vendita che sfida le capacità analitiche di ogni sociologo dei consumi. Ha spinto il proprio posizionamento, la complessità della sua offerta e le sue estetiche a quel punto estremo che stimola interpretazioni audaci, sebbene inficiate dall’angolazione da cui si osserva il fenomeno. È difficile dire, infatti, se la decodifica di Abc Carpet & Home da parte di osservatori europei corrisponda a quella degli americani della East Coast. Il problema è che, già negli anni ’90, l’azienda scelse di accentuare la sofisticazione del suo contesto ambientale, mescolando le note desolanti e nostalgiche dei “White Trash Fifties” con l’incanto quasi onirico di “The Fairy Kingdom”, con l’esondazione estetica di “Victorian settings” saturi di rimandi al nobile mondo anglosassone, fino allo stile moderno, contemporaneo e asciutto dei tessili sbiaditi, logori, se non addirittura maceri. E tutto questo, specie se correlato a un posizionamento di superluxury, può davvero stupire.
Partiamo tuttavia dalle sue origini, che risalgono addirittura al 1897. In quegli anni Sam Weinrib, immigrato dall’Austria, iniziò a spingere il suo carro di stoffe lungo le strade del Lower East Side di Manhattan. Successivamente, come nella più classica tradizione dell’american dream, il figlio di Sam, ricevuto il testimone dal padre, avviò una progressiva espansione dell’attività commerciale che sarebbe giunta sino ai nostri giorni. Essa fu portata avanti con esiti alterni per diversi decenni, ma è nei primi anni ’80 che arrivò la svolta: quando cioè il nipote Jerry Weinrib trasferì con acume l’attività nel quartiere all’epoca noto come “Ladies’ Mile”. Si tratta di 28 blocchi dalla 18th alla 24th Street e da Park Avenue South alla Avenue of the Americas, oggi considerati patrimonio storico della città e così chiamati per la concentrazione di antichi e rinomati department store. Sull’onda della “Reagan revolution”, che emendava i tristi anni di Jimmy Carter, gli Usa stavano riscoprendo il consumo edonistico e il piacere della moda. Così Jerry divenne artefice di un vero e proprio decollo del business di famiglia. Acquistati gli spazi dello storico department store W&J Sloane, si trattava di colmare in modo efficiente questa enorme superficie di vendita. Non restava dunque che allargare l’assortimento alle categorie degli accessori e dell’arredamento domestico.
Abc si avventurava così in un rapido processo di diversificazione. Dal suo status di retailer di prodotti tessili e specializzato in tappeti, si elevava a “chic home furnishings emporium”: il paradigma della sua nuova missione, riscritta dalla figlia di Jerry, Paulette, e dal marito Evan Cole. Un ruolo cruciale in tal senso fu giocato dal repertorio di memorabilia che Paulette amava acquistare durante i suoi frequenti ed esotici viaggi in giro per il mondo. Il clima newyorkese dell’epoca era propenso a queste estetiche e cominciò ad apprezzare il gusto e le scelte di Paulette. Il suo indubbio talento nell’interpretare queste nuove espressioni di edonismo metropolitano le valse, ben presto, la nomea di trendspotter e di anticipatrice delle tendenze ancora inespresse dalla generazione dei baby boomer. Il nido domestico assumeva una connotazione sempre più emblematica, di luogo sacro non solo da vivere, ma da caratterizzare attraverso una selezione di oggetti esclusivi e simbolici. Il tutto in linea con i pastiche e i metissage che contraddistingueranno l’incipiente post modernismo.
In linea con l’incoerenza postmodernista, Abc mise in assortimento anche manifatture per l’arredamento domestico di design raffinato: una scelta in sintonia con la cultura di consumo del cliente-tipo, ovvero collezionare, impossessarsi di un pezzo unico ed esclusivo, da custodire con cura museale nel proprio nido. In breve, si affermava una logica funzionale dei totem costituiti da oggetti domestici, che non arredavano semplicemente uno spazio, ma lo sacralizzavano. Il gioco funzionava soprattutto se l’oggetto era “antico”, perché si sa: “everybody in New York wants something yesterday”. Implodeva il concetto di coerenza degli abbinamenti: i gusti erano (e tali dovevano restare) quanto più personali e indiscutibili. Il buon gusto, quantomeno nell’accezione comune, doveva necessariamente cedere il passo alla singolarità e all’estrosità individuale. Si trattava di un assioma estetico da cui Paulette ed Evan riuscirono a sintetizzare e fissare l’immagine e il fascino irresistibile di Abc.
Ovviamente, premessa indispensabile era il potere d’acquisto della clientela che Evan Cole sintetizzava così: “Our customer is the $100,000 family that comes here to buy quality but save money”. Naturalmente i superricchi, tra cui Katharine Hepburn, Meryl Streep, Diana Ross, Peggy Lee e Keith Richards, sarebbero stati coloro che avrebbero qualificato un’offerta che si spingeva sui livelli di prezzo astronomici (almeno per le classi medie) dei pezzi unici e “antichi”. Da qui la sorprendente esposizione di persiane, tavoli, canterani scrostati, di arredi industriali di antica data, di oggetti d’illuminazione insoliti e recuperati dalla demolizione.
Insomma, l’arredo che propone Abc si fonda su un sorprendente uso del colore, e in particolare delle superfici scabrose e della materia corrosa di tanti oggetti tratti da una realtà quotidiana perduta e irripetibile. La loro funzione segnica costituisce pertanto una sorta di memento moriche vuole evadere dai meandri del consumismo griffato e da tutto ciò che non è essenziale. In questo senso sembrano voler riproporre il messaggio delle nature morte che da sempre furono amate soprattutto dalle borghesie mercantili.
L’oggettualità e la fisicità degli arredi di Abc Carpet & Home identifica, si è detto, una nuova dimensione creativa dell’abitare, una dimensione che si vuole libera dai vincoli stilistici imposti dalla filosofia della felicità come fine naturale (eudomonismo) delle élite newyorkesi. È un invito a concentrarsi sulle cose che hanno senso poiché davvero utilizzate, vissute, e sopravvissute, alle casualità dell’esistenza. L’usura e il tempo che le hanno inesorabilmente segnate le rendono imperfette, ne accentuano la fragilità e le rendono assolutamente uniche e irriproducibili. La loro presenza in casa, dunque ne sostituisce altre che appaiono consumisticamente peccaminose, inducenti alla vanità e dunque indecenti.
Percorrendo i grandi saloni di Abc dalle pareti scrostate, i pavimenti logori, le tubature scoperte, le colonne screpolate, si coglie l’espressione più esplicita e polemica di quella cultura del riuso che ricerca il contatto con oggetti di scarto, salvati da un anonimo annichilimento. In questo senso il tutto si ricollega alla durezza estetico-ambientale di New York City esibita senza remore come antitesi del nuovissimo, della perfezione di altri suoi luoghi che non tollerano incrinature, imperfezioni o sintomi di vecchiezza in una metropoli che vive nel mito di una perenne, aggressiva giovinezza.
In breve, ci sembra di riconoscere in questo un recupero del wabi-sabi, una forma di creatività legata alle filosofie mahayana e taoista, che insegnano a esercitare il distacco dall’idea di perfezione assoluta, per riscoprire la bellezza di una creazione intuitiva e spontanea, forse incompleta, ma sicuramente ricca di originalità. Si tratta di un modo di vedere gli oggetti, di viverli secondo un ideale estetico che nelle cose dismesse ravvisa un peculiare genere di bellezza triste.
Un aiuto a capire ci viene dal critico Andrew Juniper, che afferma: “se un oggetto o un’espressione può provocare dentro noi stessi una sensazione di serena malinconia e un ardore spirituale, allora si può dire che quell’oggetto è wabi-sabi”. “Wabi” allude alla solitudine della vita; “sabi” significa povero o logoro, appassito. Ne dovrebbe discendere la serenità con cui accettare la vecchiezza e la caducità della vita, testimoniata appunto dalle patine degli oggetti e dalla loro trasformazione. In altre parole, tutto ciò che invecchia acquista una bellezza speciale, evidenziata dall’usura o da eventuali visibili riparazioni.
Si potrebbe affermare allora che questo minimalismo potrebbe essere semplicemente una moda oppure nascondere disagi e sensibilità profonde nella cultura materiale americana. Gli arredamenti e gli accessori logori con le loro abrasioni, le cromie stinte, le ferite del tempo diventano parte di un percorso esistenziale. La qualcosa non deve sorprendere se si è a conoscenza appunto del messaggio filosofico e spirituale wabi-sabi. Contemplazione dell’imperfezione e del costante flusso delle cose, una vita vissuta con modestia, aspirando a rimuovere tutto ciò che non è necessario. Godere nel momento ed eliminare l’ossessione del futuro sono i dettami del wabi-sabi intesi come utopico antidoto al “Greed Is Good”, ovvero all’urlo trionfante dei manhattanites stressati dal loro successo. Per questo Abc Carpet & Home costituisce un riferimento imperdibile che la Grande Mela ci offre per capire ancor meglio stili e tendenze di consumo.
* Presidente di Popai Italy
Alla concezione e alle ricerche necessarie per l’articolo ha contribuito Marco Tirelli