Le nostre tavole da sempre sono state invase da proposte gastronomiche nelle quali oltre agli ingredienti, emergeva l’aspetto, la mise en place. Cornucopie, antico simbolo di abbondanza, ridondanti di ogni meraviglia, hanno decorato tavole e architetture sin dai tempi dei romani.
Oggi la simbiosi tra cibo e design è spesso più astratta, asciutta, ma è altrettanto potente nella sua espressività. Nulla è cambiato nel fine; tutto è cambiato nella forma. Porre in evidenza, nascondere-confondere-contrastare-accostare colori e sapori, forme e tagli, proporzioni e posizioni.
Ci sono esempi che possono raccontarci molte cose e, pur senza poter assaporare il gusto, possiamo assaporare il grande amore che gli chef pongono in questa attività. Porto a riferimento tre modi, tre approcci all’impiattamento che possono testimoniare concretamente il senso estetico, il tocco di design della contaminazione di cui parliamo oggi.
Tutti e tre sono esempi italiani, non per campanilismo, ma per il merito di aver tracciato nuove strade pur rimanendo nella piena tradizione. Il primo esempio è un meraviglioso piatto (seppia, cavolo rosso, patate viola e salsa d’ostriche) di Moreno Cedroni.
Blak Là di Roy Caceres (Baccalà, patate nere, essenza di finocchio e levistico) o il globo al cioccolato ripieno di crema alla vaniglia di Antonino Cannavacciuolo.
Al confine tra moda, alta cucina e design il piatto creato da Matias Perdomo per Milano Fashion Week: una sashimi tartan di bue, purea di porcini e tartufo nero e salsa bernese.
La sostanza di questa meravigliosa contaminazione del gusto è la seguente: il cibo è essenzialmente un’esperienza multisensoriale. Sapore e visione si accompagnano solo nelle migliori cucine e sono espressione di una creatività che appaga il corpo e lo spirito.
*Project manager di Eurodisplay Design in Progress