È inutile negare che la situazione in cui si trova il paese è difficile: la disoccupazione cresce inesorabile, il pil è ancora fermo, la fiducia dei cittadini sta ritornando a scendere. Inoltre l’Europa sembra non fornire una spinta propulsiva, e il contesto internazionale è quantomeno poco stabile. Ma il mondo non è tutto fermo: il continente asiatico è in evoluzione rapida. Si sta verificando una crescita forte della classe media: secondo alcune stime, nel 2030 la classe media sarà per il 66% nell’Asia-Pacifico, e da grande esportatore il continente diverrà un grande importatore. Secondo l’ultimo World Investment Report 2014 dell’Unctad (United Nations conference on trade and development), gli investimenti in uscita dalla Cina sono cresciuti per la prima volta di più di quelli in entrata. Tale trend riguarda anche il made in italy: la People’s Bank of China ha 8 miliardi di euro di investimenti in titoli Italiani, con quote non trascurabili in Eni, Enel, Generali, Telecom, Prysmian, Ansaldo Energia e Fiat. Krizia da poco è stata acquisita da un designer cinese; e ricordiamo anche Benelli (motocicli), Ferretti (yacht), Berloni (cucine).
Tutto questo deve preoccuparci? Fino a un certo punto: dimostra anche che l’Italia è ancora un paese appetibile per le acquisizioni e per gli investimenti. Inoltre l’export italiano è forte: secondo i dati Istat-Ice, sono oltre 210.00 le aziende che esportano, la quota di mercato italiana sull’export mondiale nel 2013 è al 2,79%, in aumento rispetto al 2012; quindi, nonostante tutti i mali locali, sui mercati internazionali siamo molto competitivi.
Se l’export tiene, il vero problema del paese è la domanda interna. Infatti, i consumi privati stagnano ancora, in generale per tre motivazioni principali tra loro assai diverse: le persone in difficoltà (circa una famiglia su 4) fanno di necessità virtù, adattandosi a uno stile di consumo essenziale; ci sono poi coloro che hanno deciso di cambiare stile di consumo, adottandone uno più sobrio, sostenibile, attento allo spreco, cercando di consumare meglio. Ma è indubbio che la maggior parte degli italiani è più che altro preoccupata del futuro, contrae i consumi in attesa di tempi migliori: questo intacca gli acquisti quotidiani, e soprattutto i consumi durevoli e semidurevoli che, complice anche una situazione d’inflazione nulla o negativa, vengono rimandati il più possibile. A questa situazione si aggiunge la massiccia riduzione degli investimenti, pubblici e privati (tagli, patto di stabilità, credit crunch…) e la crisi del “mattone”, che fino a pochi anni fa rappresentava l’investimento ideale per il 70% degli italiani (oggi solo per il 24% – dati Ipsos-Acri).
Risolvere la situazione non sarà semplice, soprattutto perché richiede una strategia ampia e con tempi non brevi, volta a rimettere in moto un paese le cui contraddizioni sembrano essere arrivate tutte insieme al pettine. Però non ci sono solo segnali negativi, e forse con tanto impegno collettivo (e un poco di fortuna) potremmo raccontare, fra un anno, una storia diversa.