In un contesto economico in cui le insegne della gdo devono fronteggiare un calo di quasi l’1% nelle vendite (elaborazioni Coldiretti su dati Istat), l’esigenza di fidelizzare i propri clienti si accompagna quasi in contemporanea alla necessità di aumentare l’efficacia dei costi delle azioni di marketing. Grande attenzione viene rivolta anche alla gestione dei programmi fedeltà, con l’obiettivo, da una parte, di aumentarne l’efficacia e dall’altra di ridurne i costi. In particolare, le insegne insoddisfatte dell’andamento del loro programma fedeltà si ritrovano bloccate in quello che in gergo economico viene chiamato “il dilemma del prigioniero”: mantengono in essere i loro programmi fedeltà, magari riducendone progressivamente i costi (e di conseguenza anche l’efficacia) solo perché anche i competitor mantengono attivi i loro programmi. La cessazione di un programma fedeltà risulta essere di per sé una decisione molto problematica: le conseguenze più minacciose sono una reazione emotiva negativa da parte dei clienti e la perdita di quota di mercato in favore delle aziende rivali.
Che cosa si sa di scientifico sull’efficacia dei programmi, sui loro effetti, sulle conseguenze della loro chiusura? L’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma monitora da oltre 15 anni non solo la prassi delle aziende, ma anche lo sviluppo degli studi accademici sul tema, a livello internazionale. Negli ultimi vent’anni sono stati pubblicati più di 130 autorevoli lavori scientifici sui programmi fedeltà in diversi settori. Tra questi studi, il filone di maggiore interesse manageriale riguarda l’effetto dei programmi fedeltà sul comportamento di acquisto dei clienti. In questo senso, i kpi utilizzati per valutare l’efficacia dei loyalty program possono essere suddivisi in due categorie: di livello aggregato (per esempio penetrazione della carta sul fatturato, share of wallet media e frequenza di acquisto media) e di livello individuale (customer retention, share of wallet di cliente e recency-frequency-monetary). Studi condotti nel settore grocery (Cigliano e altri, 2000) rivelano che i primi player che scelgono di adottare un programma fedeltà conseguono un incremento delle vendite compreso tra l’1% e il 3% nel primo anno del programma. Inoltre, la quota di mercato relativa delle varie insegne gioca un ruolo fondamentale nell’efficacia del programma loyalty: i player con maggiore market share, poiché hanno un numero maggiore di clienti e di solito un maggiore livello di awareness e loyalty, beneficiano in misura superiore dell’introduzione di un programma rispetto ai player più piccoli, che al contrario tendono a introdurre i loyalty program in ritardo e spesso come risposta nei confronti dei rivali.
Studi condotti con kpi individuali evidenziano un effetto positivo dei loyalty program su frequenza di acquisto, livelli di spesa a valore e a volume e share of wallet. Il risultato più rilevante in valore assoluto si riscontra principalmente come effetto derivante da azioni di fidelizzazione di breve durata, come per esempio short collection e short promotion. Alcuni studi (Taylor and Neslin, 2003) hanno rilevato che il livello di spesa dei clienti coinvolti nell’iniziativa di breve periodo aumenta di circa il 6% a seguito di un’azione promozionale non di prezzo della durata di 8 settimane, mentre altre ricerche (Drèze and Hoch, 1998) evidenziano un effetto a valore sulla categorie interessate pari a circa il 25%. La tipologia di effetto è quindi simile a quella ottenuta con la promozione di prezzo. Anche i programmi fedeltà di lunga durata hanno un impatto positivo sul comportamento di acquisto dei clienti. Studi (Leenheer e altri, 2007) condotti nel settore della distribuzione alimentare mostrano un incremento del 4% in termini di share of wallet, con un picco che avviene nei primi mesi successivi all’introduzione del programma.
Gli effetti del programma fedeltà cambiano anche a seconda della tipologia di clienti. L’impatto più rilevante del programma fedeltà sia di breve sia di lungo periodo è maggiore sui clienti basso e medio spendenti. Infatti, per questa tipologia di clienti il margine d’incremento della spesa è maggiore di quello dei clienti alto spendenti, che hanno già raggiunto un elevato livello di spesa e quindi fanno registrare incrementi poco significativi. Per questi motivi, la profittabilità dei programmi fedeltà è soggetta a una forte variabilità, che dipende dall’entità dell’effetto del programma su frequenza e volumi di acquisto dei segmenti di clienti medio e basso spendenti: questo perché è altamente probabile che i clienti migliori saranno in ogni caso capaci di raggiungere le soglie minime per redimere i premi. In questo senso, è importante personalizzare la comunicazione e le azioni di marketing per ciascuna tipologia di segmento, puntando a obiettivi fortemente legati al cluster di riferimento ed evitare di focalizzarsi solo sui segmenti di clienti alto spendenti.
Un elemento fondamentale di qualsiasi programma fedeltà è costituito dalle reward. Quelle di tipo monetario, chiamate anche hard reward, hanno sicuramente maggiore efficaci sulle vendite, ma possono minare pericolosamente la profittabilità dei programma fedeltà e contribuiscono nel tempo a indebolire la fedeltà della clientela. Al contrario, reward non di prezzo (soft reward) agiscono, con un effetto sostenuto nel tempo, sull’atteggiamento dei clienti e sulle emozioni: i clienti sviluppano un senso di appartenenza e di gratitudine nei confronti dell’insegna. Rispetto alla redemption delle reward gioca un ruolo rilevante anche la presenza di diverse soglie punti, che esercitano una pressione sui clienti a spendere più del solito per poter ottenere il relativo premio. Tuttavia, questo meccanismo ha un effetto notevolmente più ridotto nei programmi fedeltà di lunga durata.
Nel 2014 è stato condotto, in Olanda, uno studio (Dorotic e altri, 2014) su un programma fedeltà coalition che include aziende retail di diversi settori (grocery, carburanti, viaggi e assicurazioni), con la meccanica “un euro un punto” senza la presenza di scadenze temporali per la redemption dei premi. I ricercatori hanno riscontrato che nel periodo precedente alla riscossione del premio è avvenuto un cambiamento significativo e positivo del comportamento di acquisto (maggiore livello di spesa) anche senza la presenza di una deadline per la redemption. Analogo risultato avevano ottenuto studi del nostro Osservatorio relativamente a un programma della gdo italiana. Quindi la decisione di redimere un premio è sufficiente, anche senza deadline, a provocare un cambiamento nei comportamenti di acquisto dei clienti. Inoltre, la redemption del premio ha un effetto di tipo post: è stato infatti riscontrato un aumento della frequenza di acquisto e dell’ammontare speso nelle transazioni immediatamente successive al ritiro della reward. Questo effetto, poi, varia a seconda della durata di partecipazione al programma da parte del cliente: gli iscritti da più tempo risultano meno propensi a cambiare il loro comportamento di acquisto per effetto del premio ottenuto. Tra gli strumenti del programma fedeltà, l’invio di messaggi personalizzati risulta essere molto efficace nell’incoraggiare un aumento sia nel livello della spesa sia della redemption stessa dei premi. Tuttavia, questa efficacia diminuisce con l’aumentare del numero di messaggi ricevuti dal cliente.
In conclusione, la ricerca accademica di marketing condotta negli ultimi 15 anni a livello internazionale evidenzia come i programmi fedeltà hanno un effetto complessivamente positivo, ma di contenuta entità, sul comportamento di acquisto; effetto che cambia a seconda della tipologia dei clienti. Tuttavia, molti fattori contribuiscono a ridurre o ad aumentare questo effetto, come per esempio il livello di competizione nel mercato e tra i diversi programmi loyalty, la struttura del programma, il tipo di clientela e le tipologie di premi offerti. Inoltre, l’effetto dei programmi fedeltà sulle vendite può non tradursi necessariamente in profitto, dato che i costi di gestione del programma e i volumi di redemption dei premi possono superare gli incrementi di fatturato. Certamente, il vantaggio competitivo più sostenibile derivante dai programmi fedeltà risiede nello sfruttamento delle informazioni, a livello individuale, sul comportamento dei clienti. Questi dati, se adeguatamente sfruttati, possono costituire la base per sviluppare una relazione proficua con i clienti e per i processi di decision-making di tipo tattico e strategico.
Marco Ieva
È ricercatore di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Customer relationship management and customer analytics e svolge attività di ricerca scientifica sui temi dell'omnichannel customer experience, del loyalty management, del retailing e della marketing innovation. Dal 2012 è senior researcher dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma, nel cui ambito collabora su progetti di ricerca, analisi dei dati e formazione sul tema della fidelizzazione della clientela. www.osservatoriofedelta.it