Sovente si dice che siamo ciò che mangiamo, l’evoluzione attuale della relazione con il cibo ci suggerisce che non è solo “ciò che mangiamo”, ma anche “come lo mangiamo”. La quattro giorni di Tuttofood e il contemporaneo inizio di Expo 2015 hanno offerto interessanti elementi di riflessione. Il consumo negli ultimi 30 anni è passato dall’essere sempre meno ostentativo all’essere sempre più emotivo-esperienziale; il food non ha fatto eccezione a questa tendenza, anche se con caratteristiche peculiari. Lo stile di consumo sta cambiando, passando dallo status (con la ricerca del “piatto ricco”) all’esperienza che arricchisce; a questo si associa una crescente sensibilità verso ciò che è originale, distintivo, e parimenti verso ciò che impegna poco tempo e denaro. In questi anni è cresciuta, a livello mondiale ma in particolar modo in Italia, l’attenzione alla nutrizione, alle calorie, alle provenienze dei cibi; di pari passo si è affermata una nuova ricerca di gusto, sia esso nuovo (etnico) o recuperato dall’immensa tradizione culinaria d’Italia; la tendenza che ne è derivata è un interessantissimo ibrido: il salutismo “non punitivo”, in grado di preservare il piacere della tavola, e del mangiare insieme, accanto all’attenzione a ingredienti e salute. Più che l’innovazione in sé, è la ricerca dell’originale, del distintivo che sembra dominare la scena: anche il modo di cucinare evolve quindi verso una libera espressione di sé; si ha una rottura degli stereotipi e un affrancamento dal super-io in cucina, verso un nuovo maturo equilibrio. Infatti, la cura dei dettagli – spesso su imitazione degli specialisti o stimolata da riviste e siti – si associa sovente alla volontà di liberarsi dalla fatica non necessaria: in ottica industriale questo determina ampi spazi di delega al prodotto semipreparato, quale sintesi fruttuosa tra artigianale e industriale. In questo nuovo contesto non sembra esserci più una dicotomia forte tra non industriale e industriale, fresco e confezionato, ma la scelta si gioca più sulle dimensioni di “tempo” e “qualità”. La dicotomia tende a diventare sempre più “casa” versus “fuori casa”: il prodotto fresco competerà con il ristorante di qualità, il prodotto industriale con lo street food: l’emblema del “nuovo cibo” è infatti più il kebab o l’hamburger del sushi. Di conseguenza, il prodotto industriale deve essere sempre più smart, con un servizio eccellente, e percepito sempre meno come una soluzione cheap, pur ricordando sempre che c’è tensione a ottimizzare risorse. Non stupisce quindi l’interesse che gli italiani nutrono per Expo, più forte della narrazione di scandali e ritardi: il 44% si dichiara interessato a una visita (il 19% ritiene che sarà molto probabile la visita e la metà di essi – il 9% – dichiara di aver già comprato un biglietto); è vero che la manifestazione è ancora percepita un po’ troppo per specialisti, specie per la vaghezza di informazioni circa la sua reale organizzazione, ma è comunque in rapida crescita il numero di coloro che ritengono interessante andarci con amici e familiari. C’è anche una forte attesa di un indotto di Expo nelle zone più centrali di Milano. Speriamo che davvero il buongiorno si veda dal mattino.
Anche il food è esperienza soprattutto ai tempi di Expo
Andrea Alemanno08/06/2015