Attenendoci a quanto industria e distribuzione da sempre proclamano, la relazione con i consumatori si caratterizza per essere un legame più o meno stringente, fluido, continuativo, scambievole, basato su fiducia e fedeltà. Sarà vero? La relazione voluta e cercata dalle aziende è, in realtà, un sistema per catturare, intrattenere e mantenere il più a lungo possibile la preferenza del consumatore. Una finalità legittima e necessaria per i bilanci aziendali, ma che dovrebbe soggiacere a una maggiore trasparenza e soprattutto a una dichiarazione di intenti più esplicita. Quella perseguita da industria e distribuzione è infatti essenzialmente una relazione di tipo condizionato, finalizzata e basata sullo scambio di benefici reciproci, considerati principalmente sul piano razionale (del genere: maggiori introiti e migliore informazione per l’azienda, più premi o sconti per il consumatore). Con relazione incondizionata si intende invece uno scambio paritetico, partecipativo, svincolato da finalità commerciali. Molto ideale e idealizzato. Se la relazione condizionata è più vicina alle effettive possibilità delle due parti e, quindi, realizzabile, si constata però la mancanza di un modello di business che dia effettivo valore (tangibile e intangibile) allo scambio e al significato di “benefici reciproci”. Pur evolvendosi nelle forme e pur facendo uso dei più recenti strumenti per offrire al consumatore fruizione da mobilità, gli schemi di fidelizzazione sono tutti basati, in modo più o meno creativo (e mettiamoci pure l’onnipresente aggettivo “esperienziale”), sul paradigma “do ut des”, ovvero su un’istanza mercantile. L’azienda industriale e la distribuzione mirano dritte a ottenere livelli remunerativi di up e cross selling dai clienti già “arruolati” e a espandere il bacino di utenza per acquisirne di nuovi. Il consumatore “ricambia” l’azienda con la stessa moneta: rilascia informazioni che sono diventate parziali e discontinue, poiché ha imparato a suddividere la propria fedeltà su diverse insegne, a organizzare il proprio piano di spesa fra online e offline, a mettere in atto comportamenti opportunistici (ma perché dovrebbero essere considerati tali solo quelli del consumatore?) per arrivare indenne alla fine del mese. Le redini della relazione sono state sempre e solo nelle mani delle aziende che hanno progettato e messo a punto i “moduli” per attivare e incanalare uno scambio con i consumatori. La relazione si è appiattita su una dimensione monetizzabile, contabilizzata da consumatore e azienda con gli stessi criteri. Non si è mai indagato in modo approfondito il significato di relazione dal lato del consumatore, né si è mai tentato di lasciargli la parola per dire se desidera davvero uno scambio limitato alla battuta di cassa, o se vuole un legame (incluso il corredo di buoni sentimenti reciproci), o nulla di tutto questo, o qualcosa ancora da inventare. Dunque, cosa si intende per relazione?
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.