Modernità e classicità sono intrinsecamente presenti nella moda per definizione, per vocazione e spesso per necessità di collezione. Gli esempi che vorrei sottoporre sono forse meno eclatanti di altri, ma rappresentano un approccio contemporaneo al bisogno di vestire per essere noi stessi (e non per apparire qualcun altro). Parlo prima di tutti di una scarpa, la Tricker’s. Una scarpa della tradizione inglese, statuaria e arroccata nella sua posizione di essere considerata tradizionale e sobria per eccellenza, ma rivitalizzata in questi ultimi anni da gesti di grande innovazione. Ovvero le versioni da listino contrapposte ai nuovissimi modelli in versione mto, ovvero made to order, o disegnate da designer emergenti. Stessa scarpa, mille occasioni di contaminazione. E in questo caso la contaminazione ha moltiplicato le occasioni di vendita, ha moltiplicato i clienti e ovviamente esteso la sua fama.
Altro esempio, questa volta tutto italiano, il caso Lardini che testimonia come capi della tradizione possono essere reinterpretati e contaminati di modernità senza perdere nulla in carisma e qualità, anche con il contributo di un estroso designer come Nick Wooster. Ultima citazione, un vero e proprio miracolo dell’ingegno tessile: lo scomparso Massimo Osti, fondatore di Stone Island. Una vera e propria rivoluzione nel campo dei tessuti in cui arte, creatività e tecnica hanno consentito di poter creare capi assolutamente innovativi. Filamenti di acciaio e fibre ultratecnologiche utilizzati per la trasformazione di un trench in una opera d’arte contemporanea. Queste piccole citazioni non fanno altro che confermarci che il nostro presente è pieno di intersezioni, condivisioni, aggregazioni: e la contaminazione è solo positività e costruttrice di futuro.
Nella moda la classicità in continua reinterpretazione
Andrea Tempesta09/06/2015