C’è uno spettro che si aggira per il circo del marketing. Uno spettro, perché deve per forza trattarsi di un fenomeno paranormale. È concepibile razionalmente, infatti, che una grande opportunità di mercato sia sistematicamente ignorata o al meglio trattata in maniera superficiale? Nello specifico, un target già molto numeroso e in aumento demografico costante, con buone, se non ottime, potenzialità di spesa e crescente salute psicofisica, su cui c’è scarsa analisi su comportamenti e attitudini d’acquisto, infima comprensione reale dei bisogni, nessuna reale segmentazione, e sul quale si procede in gran parte con luoghi comuni. Quando magari altri target, per esempio quello dei giovani, che pure in Italia hanno bassa capacità di spesa e poca indipendenza decisionale su diversi prodotti e categorie fino ai 30 anni, vengono sezionati al microscopio, tra studi su Millennials e Generazione Z, preoccupazione spasmodica per l’adozione degli ultimissimi trend tecnologici, seppur di nicchia. Stiamo parlando del target anziani, o senior che dir si voglia. È indubbio che oggi su questo target ci sia un gap enorme tra potenzialità di business e livello di attenzione che il marketing vi dedica, tanto grande da creare appunto un misterioso e irrazionale paradosso. Tuttavia qualche spiegazione razionale c’è. Il fattore “cool”. Il mondo del marketing è ossessionato dall’idea che una marca, per essere appealing, deve essere in qualche modo cool e, anche se non si sa esattamente cosa significhi, in generale si associa all’idea di gioventù e bellezza, fascino, ragion per cui soprattutto in pubblicità il modello estetico è sempre sbilanciato su questi parametri. Anche in mercati in cui l’importanza della coolness non è così fondamentale, si pensa che la comunicazione funzioni in modo aspirational (e non è sempre vero), per cui i target più avanti negli anni s’identificheranno e risponderanno meglio a una raffigurazione di sé ringiovanita e abbellita. Il nome. Anche in questo articolo, qualche riga più su, ci siamo cavati dall’imbarazzo di dare una definizione per questo target chiamandolo “anziani” o “senior”. Anziani è una definizione generica, e banalizzante, della realtà, ma mancano alternative efficaci. Pensare alle persone dai 60 anni in su come un unicum indifferenziato è una grossa sottovalutazione della realtà, e non solo per il fatto che a livello di età c’è una variabilità di circa 30 anni (per altri target si spacca il capello, e su 5-10 anni di range al massimo), ma anche per cultura, abitudini mediatiche, mobilità ecc. C’è urgente bisogno di nuovi strumenti di comprensione di questa realtà che aiutino ad andare oltre i cliché. Le nostre paure. In realtà il terzo motivo è effettivamente irrazionale, e ci riporta agli spettri. Non c’è nulla da fare, il solo parlare di terza età ci richiama istintivamente pensieri di mortalità che scacciamo subito, in una rimozione collettiva che ci allontana dalla verità e, in questo caso, anche dal business. Recentemente si sono visti alcuni esempi di marche che cercano finalmente di rimuovere tutti questi paraocchi, con successo altalenante. Pensiamo a Celine, a Dove, oltre ovviamente a tutti i prodotti “costretti”, perché direttamente rivolti a questo target. Che siano o no segnali di un nuovo approccio, è comunque ora di allontanare gli spettri.
Perché il marketing ignora gli “anziani”?
Andrea Fontanot10/06/2015