Dopo decenni di utilizzo di tecniche di marketing classiche o cosiddette push, si è capito che il consumatore è totalmente cambiato in questi ultimissimi anni e il tasso di cambiamento accelera con il passare del tempo. E questo perché il consumatore è sempre più collegato al web, è sempre più abituato all’advertising classica, è sempre più informato (grazie al web), è “fluido/liquido”, cioè si sposta da una mezzo a un altro con una facilità estrema, è molto più infedele alle marche e sperimentatore. In questo contesto, la pubblicità classica è diventata più un’attività di “interruption marketing”, cioè viene vissuta più come invasiva, fastidiosa che informativa. Ormai l’advertising classico non funziona più come in passato e il relativo roi, oltre a non essere perfettamente misurabile, sta crollando nei valori assoluti. Conseguentemente, realizzare l’engagement del consumatore risulta sempre più difficile e complesso e, soprattutto, non più legato ai media tradizionali.
Cambia quindi il consumatore e devono, quindi, necessariamente, cambiare le regole di ricerca di contatto e relazione con lo stesso. I consumatori attuali desiderano essere sorpresi, intrattenuti, divertiti e infine coccolati. In una parola emozionati. Al riguardo, basta farsi una domanda: quanto siamo attratti dalle mille pubblicità (indoor e outdoor) che ci bombardano di continuo durante la giornata? Anche i marketing manager che gestiscono campagne di advertising per le proprie aziende quanta attenzione rivolgono all’advertising altrui? Eppure nel momento di sviluppo di una campagna per la propria azienda, utilizzando le stesse leve che usano le altre aziende, quegli stessi marketing manager sperano che i risultati siano positivi.
Ovviamente, non si vuol dire che l’advertising classico sia morto, ma che da subito debba essere sempre più affiancato dalle tecniche dell’inbound marketing, fino a farlo diventare marginale. Per le pmi con budget molto limitati, poi, l’inbound marketing è già adesso la strada principale, quasi unica, che va intrapresa. E ciò per evitare di buttare soldi dalla finestra in campagne limitate nel tempo e nella qualità dei messaggi che fanno solo “l’effetto marmellata”.
La risposta ideale a questa esigenza di engagement emozionale del consumatore (sempre più digital), sta proprio nell’inbound marketing, creato in Usa nel 2005, che è una modalità di marketing che si basa sull’essere trovati da potenziali clienti (outside-in oppure pull), quindi, totalmente opposta alla modalità tradizionale, detta anche outbound marketing (inside-out oppure push), che è imperniata su un messaggio direzionato unicamente verso il cliente. Infatti, l’inbound marketing è un marketing 2.0, nel quale l’interazione con il consumatore è molto sviluppata e quest’ultimo può anche dialogare con le aziende. Cioè è in aperto contrasto con quanto fatto fino a pochi anni fa con il marketing classico, dove il consumatore era solo il destinatario di messaggi promo/pubblicitari monodirezionali.
Con l’inbound marketing si passa dall’interruption al permission marketing: l’audience va conquistata fornendo contenuti interessanti e utili per il target di riferimento, non interrotta. Le basi per l’inbound marketing sono sviluppare un sito aziendale con una landing page dove far atterrare i visitatori e un blog, essere presenti sui vari social (in primis Facebook ovviamente), avere contatti (se funzionali al business d’appartenenza) con vari blogger e sviluppare un processo di crm ed email marketing costante e adeguato.
Per poter conquistare un consumatore sempre più esperto, informato, infedele e distratto da mille input, è assolutamente necessario interessarlo, cioè realizzare contenuti di qualità che lo stimolino, cioè che siano vicini ai suoi interessi reali e che non abbiamo il solo scopo di permettere alle aziende di far saper quanto “buoni e belli” siano i suoi prodotti.
Non basta dare valore a parametri apparentemente giudicati “attuali”, magari anche importanti come il numero dei “like” sulla pagina Facebook oppure sul numero delle visite ricevute. Bisogna trasformare questo traffico web di visitatori in prospect, in lead, poi in clienti e, quindi, in sostenitori. Tutte queste fasi sono gestite, guidate, monitorate dai vari strumenti dell’inbound marketing, da questo enorme “grande fratello” che è oramai il web.
Le aziende stanno finalmente scoprendo quanto la pubblicità tradizionale impallidisca rispetto ai risultati virali di una buona strategia d’inbound marketing. Secondo l’annuale report di Hubspot (la piattaforma mondiale più importante per la gestone dell’inbound marketing per le aziende) con l’inbound marketing si raccoglie il triplo dei risultati rispetto a una strategia di marketing classica.
Un altro elemento stupefacente per l’inbound marketing è che funziona proprio per tutte le aziende, indipendentemente dalla dimensione e dal settore di appartenenza, siano esse b2b o b2c. Anche le organizzazioni no-profit lo possono applicare. Basta calibrare e personalizzare i propri messaggi e struttura web alla esigenze della propria clientela.
Insomma, l’inbound marketing è la risposta giusta a budget di marketing sempre più limitati, scadenti e misteriosi in termini di roi.
Massimo Antinolfi
Ceo & founder di PH Consulting
phconsulting.it@gmail.com