Qualche giorno prima della fine dell’anno, Paris Hilton ha twittato “eccitata di condividere con voi la mia nuova collezione da Lidl”. Il buzz si è scatenato e si è compreso che la linea Paris Hilton per Lidl è effettivamente un’esclusiva per la catena tedesca, che riguarda accessori per capelli, dalla spazzola a 2,99 euro alla piastra a 19,99. Il tutto lanciato da un video online, in cui l’ereditiera appare più volte uscire da una camera d’albergo, con pettinature differenti e “capelli sempre perfetti”. Qualche hater si è scandalizzato, molti hanno pensato a uno scherzo, alcuni hanno apprezzato. Non si può generalizzare, ma una collega che ha comprato la spazzola sostiene che è “ottima” (per quanto lo possa essere una spazzola). Dal punto di vista del licensing l’operazione può essere archiviata a pieno titolo come un esempio di “brand slapping”: un prodotto standard appena personalizzato con colore e dallo sticker/serigrafia del logo Paris Hilton. Dal punto di vista di strategia retail, stupisce che Lidl sia stato selezionato come partner coerente con gli altri prodotti in licenza già sviluppati da Beanstalk, l’agenzia che cura i diritti di licensing Paris Hilton, ma evidentemente il denaro che Lidl avrà garantito per assicurarsi questa esclusiva ha avuto la meglio. Il progetto di licensing Paris Hilton si basa sulla connotazione di brand fashion, dai valori ispirati a quel lusso aspirazionale che da sempre attira il target medio allargato, in questo caso abbastanza giovane. Calzature, borse, profumi, intimo sono le categorie che più ricercano questi valori. Che Lidl aspiri a tanto è comprensibile, ma ci chiediamo quanto questo compromesso smaccatamente commerciale appanni l’appeal del brand. Sul lato opposto troviamo Gwyneth Paltrow, che lancia il suo profumo, Goop. Non si tratta di una licenza, così come non lo sono la linea di abbigliamento Goop Label e la linea di skincare Goop che l’attrice americana vende sul suo sito (Goop appunto, dal nomignolo affibbiatole da bambina in famiglia). Goop nasce nel 2008 da un’idea di Gwyneth Paltrow come newsletter/blog in cui il Paltrow-style si esprime con le sue liste di prodotti consigliati come su qualsiasi altro blog, con l’attrice sullo sfondo e mai invadente. Forte di una crescita di audience, nel 2012 Goop inizia a proporre capi esclusivi in collaborazione con brand come Carven, Phillip Lim Boots o Stella McCartney. Goop.com oggi genera 1 milione di visitatori unici al mese e il suo successo sembra risiedere nell’autenticità e nel gusto semplice ma raffinato di Gwyneth Paltrow, che ancora oggi controlla ogni post, sebbene disponga di un team di 12 editor capitanati da un direttore editoriale. A differenza di Paris Hilton, Goop è un vero e proprio brand, derivato ma distaccato dalla persona e quindi “marca” a pieno titolo, non “logo”. Il modello di business è diretto, con controllo totale sino al consumatore, con il margine come remunerazione, anziché una royalty sul fatturato di terzi. Due modelli opposti, che hanno la diluizione del valore di marca come fattore critico: criticità risolta da Gwyneth Paltrow in maniera strategica, e forte rischio remunerato solo nel breve da Paris Hilton.
Paris Hilton e Gwyneth Paltrow idee opposte di brand extension
Paolo Lucci10/02/2017