Un’ulteriore sfida di rilievo è quella di misurare l’effetto sulla customer loyalty dei diversi touchpoint con cui i clienti entrano in contatto nell’ambito della loro journey. Raggiungere questo obiettivo consentirebbe di migliorare l’allocazione del budget di marketing tra i diversi touchpoint
La customer experience è da qualche anno al centro delle strategie aziendali. In uno studio di Accenture e Forrester (2015), lo sviluppo e il miglioramento della customer experience è risultato al primo posto tra le priorità dei direttori marketing. Amazon e Google hanno da tempo capito l’importanza di gestire correttamente la customer experience e hanno istituito figure come i chief customer experience officer o customer experience vice president, con la responsabilità di creare e gestire la customer experience dei clienti. La crescente attenzione nei confronti della customer experience è anche una conseguenza dell’aumento delle possibilità che i consumatori hanno d’interagire con le aziende attraverso una miriade di touchpoint. La presenza di una pluralità di touchpoint ha complicato nettamente il customer journey, con una frammentazione di media e canali che le aziende sono chiamate a gestire sempre più in ottica omnichannel. Questo livello di complessità rende difficile inquadrare e definire la customer experience. Un recente studio condotto dal Boston College (Usa) e dall’Università di Groningen (Olanda) ha cercato d’individuarne i confini e proporre una definizione esaustiva. La customer experience viene definita da Lemon e Verhoef (2016) come “l’insieme delle risposte di tipo cognitivo, emozionale, comportamentale, sensoriale e sociale che il cliente restituisce all’azienda nel corso di tutto il customer journey, a partire dalla ricerca delle informazioni fino all’acquisto e al post-acquisto”. Questa definizione pone ai marketer diverse sfide, dalla misurazione della qualità della customer experience fino alla stima di quali sono i touchpoint più determinanti per un’esperienza di successo che fidelizzi il cliente. Misurare la customer experience consente alle aziende di ottenere insight utili per migliorarne i punti critici. Di tutte le scale di misurazione proposte finora in ambito accademico nessuna ha preso piede nella pratica, forse anche a causa della scarsa estendibilità tra settori diversi. In ambito aziendale le metriche più diffuse misurano principalmente aspetti specifici della customer experience e sono orientate a fornire una valutazione sintetica (per esempio uno score) facilmente utilizzabile. In questo senso, le misure più usate sono la customer satisfaction e il net promoter score, che sono risultate particolarmente utili per prevedere la performance dell’azienda e la probabilità che un cliente rimanga fedele. In generale, gli studi su customer satisfaction e net promoter score hanno riscontrato che l’uso combinato di queste due metriche riesce ad apportare un contributo incrementale significativo nella previsione del comportamento della clientela. Tuttavia, individuare una misura della customer experience attendibile, sintetica e completa rimane una sfida aperta. Un’ulteriore sfida di rilievo è quella di misurare l’effetto sulla customer loyalty dei diversi touchpoint con cui i clienti entrano in contatto nell’ambito della loro journey. Raggiungere questo obiettivo consentirebbe d’individuare quelli che sono chiamati “i momenti della verità”, ovvero i punti di contatto tra consumatore e aziende che influenzano maggiormente la fedeltà del consumatore. Questo consentirebbe di migliorare l’allocazione del budget di marketing tra i diversi touchpoint. L’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma ha condotto una ricerca nel 2016 dal titolo “La gestione dei touchpoint per la customer experience e la loyalty”. La ricerca, sviluppata in collaborazione con Nielsen, ha previsto la somministrazione di un questionario online al Consumer Panel Nielsen ed è stata presentata nell’ambito dell’ultima edizione del Convegno Annuale dell’Osservatorio dello scorso ottobre. È stato chiesto ai consumatori di ripensare a tutti i contatti intercorsi negli ultimi tre mesi con la propria insegna principale della gdo, con la propria banca e il proprio provider di telefonia, attraverso una lista di touchpoint. I rispondenti hanno indicato la frequenza e la qualità dell’esperienza avuta con ogni touchpoint. Inoltre, l’indagine ha misurato alcuni atteggiamenti e intenzioni dei consumatori: la fedeltà all’azienda, la disponibilità a fare passaparola positivo, a condividere informazioni personali e l’intenzione di rimanere clienti dell’insegna. Gli obiettivi principali degli approfondimenti condotti sono stati quelli d’individuare i touchpoint che raggiungono maggiormente gli italiani e quelli che hanno una più forte relazione con la customer loyalty. Analizziamo i risultati della ricerca per quanto riguarda l’esposizione ai diversi touchpoint nella gdo. In media ogni consumatore è risultato esposto a 10 touchpoint e i 5 che raggiungono il maggior numero di consumatori sono il punto di vendita dell’insegna, il volantino promozionale, la marca del distributore, il personale del punto di vendita e il programma fedeltà. È interessante notare come tra i principali touchpoint ce ne siano due appartenenti al mondo della promotion: il volantino promozionale, tipico touchpoint della price promotion, e il programma fedeltà, tipico della loyalty promotion.
Marco Ieva
È ricercatore di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Customer relationship management and customer analytics e svolge attività di ricerca scientifica sui temi dell'omnichannel customer experience, del loyalty management, del retailing e della marketing innovation. Dal 2012 è senior researcher dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma, nel cui ambito collabora su progetti di ricerca, analisi dei dati e formazione sul tema della fidelizzazione della clientela. www.osservatoriofedelta.it