“Omini de fero su barche de legno ga batù omini de legno su barche de fero”. Chi parlò così non fu un italiano, ma l’ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff della imperial-regia marina austro-ungherese. Il 20 luglio 1866 sconfisse la marina italiana nei pressi di Lissa, impartendo ordini in veneziano, comandando una flotta fatta di comandanti e marinai veneziani, giuliani e dalmati. Questa frase racchiude molti aspetti della percezione dell’Italia: un popolo che non viene preso molto sul serio, ma che di lì a poco avrebbe assestato il colpo di grazia all’Impero centroeuropeo. Al contempo un popolo in grado di avere grande influenza attraverso le proprie abilità (marinaresche e linguistiche). Questa ambiguità di percezione è un tratto comune che accompagna i giudizi sull’Italia: affascina, ma non riesce a farsi adeguatamente considerare.
Da un punto di vista turistico le contraddizioni non mancano: l’Italia rappresenta la meta per eccellenza, la più agognata. In un’indagine condotta su 18 paesi, alla domanda “se vincesse un viaggio, dove vorrebbe andare”, più di 1 su 3 indica l’Italia. La preferenza rimane forte anche presso coloro che hanno già visitato l’Italia almeno tre volte. Eppure i numeri delle presenze turistiche non rendono ragione: l’Italia è superata da Francia e Spagna. Se al momento il Belpaese gode di una fase di crescita delle presenze, soprattutto in Sicilia, questo pare sia dovuto, oltre che alle recenti politiche di promozione, alla crisi di altre destinazioni, in particolare del nord Africa e del bacino del Mediterraneo.
L’Italia non è solo turismo, è un paese che attrae per i suoi prodotti, per la percezione di qualità delle sue proposte, per il design e l’enogastronomia; non appare però attraente come territorio in cui investire, quasi che non ci fosse un’evidente relazione tra prodotto italiano e aziende italiane che lo producono. Questo aspetto è determinato da due fenomeni. Un primo elemento si ravvisa nella bassa capacità attrattiva dell’Italia verso i principali paesi europei (e verso il Giappone) come luogo ideale per investire, lavorare, studiare, cui si contrappone la buona considerazione presso la classe medio-alta delle economie in forte crescita (Cina, India, Russia) e presso gli Usa. Anche se i giudizi più critici sull’Italia arrivano dagli italiani stessi. Un secondo elemento è la mancanza di aziende nazionali in grado di farsi conoscere e apprezzare in quanto “aziende”. Spesso si conoscono i singoli brand, specie nella moda e nel lusso, ma non le aziende che tali brand creano e gestiscono. Situazione ben diversa per le aziende tedesche, francesi, americane, di cui è più nota e rilevante la dimensione delle corporation. Certo l’Italia potrebbe supplire valorizzando maggiormente i propri consorzi e distretti, ma è ancora una strada lunga da percorrere. Comunque è bene ricordare che l’Italia e l’italianità sono un grande valore, molto più diffuso nel mondo di quello che s’immagina: è una miniera che possiamo sfruttare più e meglio, prendendo consapevolezza che i difetti del Paese sono comunque inferiori ai suoi pregi. La brand equity dell’Italia è elevata, rendiamocene conto e usiamola bene.