Si va sempre più diffondendo la figura dell’influencer marketing, cioè di un personaggio di riferimento del mondo online, con un numero elevato di follower, che mostra sostegno o approvazione per determinati brand, generando un effetto pubblicitario, ma senza palesare in modo chiaro e inequivocabile ai consumatori la finalità pubblicitaria della comunicazione. Le persone influenti hanno il potere di condizionare le decisioni d’acquisto degli altri in virtù delle loro (reali o percepite) autorità, conoscenza, posizione o relazioni. All’influencer basta parlare di un prodotto in un suo post o mostrare una fotografia che lo ritrae mentre utilizza un certo oggetto, quasi in modo occasionale. L’utilizzo di questi meccanismi di condizionamento rischia di porsi in contrasto con le regole di trasparenza e correttezza della comunicazione, perché se le scelte dell’influencer sono determinate da accordi con produttori di beni e servizi e i consumatori non ne sono informati l’inganno è evidente. Proprio per questo l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha deciso d’indagare sul fenomeno dell’influencer marketing nei social media.
Gli influencer riescono a instaurare una relazione con i follower-consumatori, i quali percepiscono tali comunicazioni come consiglio derivante dall’esperienza personale e non come comunicazione pubblicitaria. L’influencer racconta la sua vita pubblicando immagini e post che lo rappresentano in un ambiente domestico. L’evidenza data ai marchi può variare in intensità e modalità, in quanto le tipologie di post e personaggi si presentano molto eterogenee. Il post può essere accompagnato da commenti sul prodotto. I meccanismi di queste comunicazioni sono spesso ingannevoli. Per sollecitare la massima trasparenza e chiarezza sull’eventuale contenuto pubblicitario dei post pubblicati, così come previsto dal Codice del Consumo, l’Autorità Antitrust nell’estate scorsa ha inviato lettere di moral suasion ad alcuni dei principali influencer e alle società titolari dei marchi visualizzati senza l’indicazione evidente della possibile natura promozionale della comunicazione.
Dopo aver ricordato che la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, l’Autorità ha evidenziato come il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato, se in realtà stanno promuovendo un brand. L’Autorità ha indicato criteri di trasparenza che gli influencer devono adottare e ha chiesto di rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale dei contenuti che diffondono, attraverso l’inserimento di avvertenze, quali per esempio #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento o, nel caso di fornitura del bene, ancorché a titolo gratuito, #prodottofornitoda. A tutte queste diciture occorre far sempre seguire il nome del marchio. Si vuole così impedire il marketing occulto, che è pericoloso, perché impedisce al consumatore di usare le naturali difese che scattano di fronte a un dichiarato messaggio pubblicitario.
Marco Maglio
Avvocato in Milano, nel 2001 ha fondato lo Studio Legale Maglio & Partnes che fin dalla sua costituzione fornisce assistenza legale specialistica a primarie aziende nazionali e a Gruppi multinazionali, ad Enti pubblici e ad Organizzazioni non profit nell’ambito della data protection, dell’adozione di modelli organizzativi e di codici etici, del diritto del marketing, della prevenzione delle pratiche commerciali scorrette nella comunicazione commerciale interattiva, nel commercio elettronico, nel telemarketing e nelle vendite dirette. Nel 2002 ha fondato Lucerna Iuris, network giuridico formato da legali di tutti i paesi dell’Unione Europea esperti di questioni di privacy, marketing e di comunicazione.