C’è la stagione delle grandi piogge e quella degli award: l’intensità del fenomeno è identica, così come il periodo. Il campo della comunicazione è uno di quelli a più alta densità di premi nazionali e internazionali, soprattutto di questi ultimi, giacché dal lato dell’agenzia le campagne sono realizzate spesso da multinazionali della comunicazione, dal lato dell’azienda la stessa iniziativa viene estesa all’estero, dal lato dei consumatori, se la intercettano online (normative permettendo) e la campagna è aiutata dall’ecommerce, non si bada ai confini. C’è pure un lato creatività che per linguaggi, modalità espressive, tecniche e soluzioni impiegate può definirsi internazionale. Purtroppo questo non è proprio un plus, poiché si evidenzia un’omologazione a standard, mode e tendenze diffuse ovunque; ergo, c’è una perdita di originalità.
Non è un fattore trascurabile, dato che gli award sono tutti incentrati sulla creatività. Lascio però il punto per una futura discussione e passo a considerare la proliferazione epidemica dei premi. Perché così tanti (e così indistinguibili) nella comunicazione? Se si considera il fenomeno dalla parte di chi li organizza, la risposta è perfino lapalissiana: sono un business (quanto redditizio dipende dalla capacità gestionale). Per chi li riceve sono un trofeo da esibire, un amuleto scaramantico con il potere di calamitare nuovi clienti e di trattenere quelli acquisiti. In molti ci credono. Poi c’è la questione dell’onore, dell’orgoglio, del compiacimento personale. Motivazioni inesauribili e insopprimibili. Tuttavia, ammesso che possano coesistere così tante competizioni nella comunicazione, il premio che valore dovrebbe avere? Propongo tre aggettivi che sono altrettanti criteri di giudizio di un award: tecnico, utile, etico.
Tecnico in quanto la competizione va a rappresentare uno spaccato profondo di un settore, utilizzando criteri e parametri di analisi certi e rigorosi, adatti a mettere in luce realizzazioni effettivamente importanti. Utile poiché il suo compito sarà indicare la strada, offrire ispirazione, insegnare, oltreché valorizzare il settore a cui il premio si riferisce. Etico ovvero che consenta sia condizioni di accesso eque sia criteri di giudizio trasparenti. Etico anche per quel che concerne la nomina dei giurati e la loro libertà di giudizio. Un premio indipendente ed equidistante da tutti. Un prerequisito, che agirebbe da vera discriminante fra tanti award, è l’autorevolezza di chi lo organizza. È legata a due ambiti: la competenza in materia e la credibilità. Chi dà vita a un award (sia esso una rivista di settore, una associazione imprenditoriale, professionale o altro) non può solo delegare ai giurati: sapere della materia, competenza di valutazione, criteri di giudizio.
L’organizzatore deve padroneggiare la governance, stabilendo i processi corretti per mettere la giuria nella condizione di operare al meglio, garantendo appunto un risultato tecnico, utile, etico.