Un tempo non lontano il giorno di riposo per eccellenza era la domenica. Ci si dedicava alla lettura dei quotidiani, al pranzo nelle famiglie con tanti bambini vocianti intorno ai nonni, cui seguiva la serie A alla radio, “Domenica in” alla televisione e finalmente “La domenica sportiva”.
Nella rivisitazione mitologica del passato, questo retaggio di un mondo contadino (divenuto velocemente industriale e poi riconvertitosi ai servizi) affascina molti, attraverso il processo che Baumann descrisse mirabilmente nel libro “Retrotopia”. Ma la realtà ora è diversa e non va dimenticato. Le famiglie tradizionali, composte da genitori e figli, sono sempre meno: (se nel 1974 erano 2 su 3, ora è solo una su 3), mentre ormai una famiglia su 3 è unipersonale; il numero di figli per donna è sceso a 1,35, i bambini vocianti sono pochi, spesso figli unici, imbottiti di impegni. Nel 1988 sono stati celebrati 350.000 matrimoni, nel 2015 siamo scesi sotto i 200.000, di cui poco più della metà religiosi. Per non dire dei quotidiani, ora sostituiti dagli onnipresenti social: nel 1992 “la Repubblica” vendeva 850.000 copie, oggi meno di 200.000. La frequentazione della messa non se la passa poi tanto meglio: nonostante Papa Francesco abbia il consenso del 70% degli italiani, oggi solo 1 su 4 va regolarmente a messa; era 1 su 3 all’inizio del millennio e quasi 1 su 2 negli anni ‘70. I programmi del sabato sera e della domenica esistono ancora, ma ridimensionati molto dall’infinita offerta alternativa: ognuno può seguire il proprio programma preferito, con gli altri o più spesso in beata solitudine, o meglio ancora connesso in double screen con il mondo. E persino il calcio, disperso in mille rivoli, ha quale momento topico le partite infrasettimanali di Champions League e non più il pomeriggio domenicale di campionato, spesso ancillare. Su questo sfondo si sta sviluppando il dibattito sulle chiusure domenicali delle attività commerciali: da una parte coloro che sono maggiormente colpiti o che sostengono le ragioni e comprendono i problemi dei lavoratori del commercio; dall’altra molte persone che vedono nell’apertura dei negozi un’occasione per passare il tempo con gli altri, con i propri familiari, magari cogliendo l’occasione per fare con calma gli acquisti che in settimana si rimandano a causa dei molti impegni che ormai saturano tutto il tempo. Non sorprende che molti siano favorevoli ai negozi aperti alla domenica, in particolare gli internauti, come ha rilevato Twig con un’analisi sui social, secondo cui il 61,8% è contrario alla chiusura. Perché forse i negozi aperti, il mangiare fuori, il trovarsi per far due passi sono diventati i nuovi riti delle famiglie, che ci piaccia o meno. Se anche verranno chiusi, difficilmente ci troveremo di nuovo tutti insieme a guardare la tv, satolli di lasagna e cappone arrosto, con nelle orecchie l’auricolare con la voce gracchiante di un collegamento dal campo principale.
Quel mondo non esiste più.
Sono cambiate abitudini e fruizione della domenica
Andrea Alemanno31/10/2018