Una ricerca di Criet evidenzia come le imprese sensibili ai temi dell’economia circolare siano più soddisfatte delle proprie performance e reputazione
Uno degli argomenti più discussi oggi da aziende e istituzioni riguarda l’economia circolare, che secondo la definizione di Circular Economy Network (l’osservatorio creato dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da un gruppo di 13 aziende e associazioni d’impresa in vista dell’approvazione del pacchetto europeo sull’economia circolare) è un sistema economico progettato per essere in grado di rigenerarsi e in cui lo spreco di una produzione diventa materia prima di una produzione diversa o viene riutilizzato/riciclato per minimizzare o cancellare gli sprechi. Alcuni spunti interessanti per le imprese e i manager, che s’interrogano se l’adozione dell’approccio circolare possa contribuire a ridefinire il proprio modo di fare business e le proprie strategie di marketing e comunicazione, arrivano dalla ricerca “L’economia circolare per la reputazione e la performance d’impresa”.
L’indagine condotta da Criet (Centro interuniversitario di ricerca in economia del territorio dell’Università di Milano Bicocca, in collaborazione con Lefac.com di Tbs e Ipsos Italia), sonda l’impatto dell’approccio circolare sulla performance e la reputazione aziendali, basandosi su un questionario Cawi inviato tra marzo e settembre 2018 a proprietari e manager di 719 aziende europee, di cui il 47% pmi e il 53% grandi imprese, in 5 paesi (Italia, Inghilterra, Francia, Germania e Spagna).
Sul fronte dei settori, il comparto dei servizi è quello maggiormente rappresentato (49%) seguito dal manifatturiero (44%). A grande distanza vi sono le pubbliche amministrazioni e le organizzazioni no profit e non governative (5%). Incrociando i dati raccolti, la ricerca evidenzia 3 cluster di imprese che si differenziano per livello di conoscenza e azioni intraprese rispetto all’economia circolare: sopra la media vi è il profilo dei “maturi” (44% degli intervistati), nella media quello degli “aperti” (29%) e sotto la media i “chiusi” (27%). Per approfondire l’impatto sulla reputazione d’impresa, sono stati identificati 4 indici (su una scala da 0 a 100), uno per ogni gradino del modello Ipsos di corporate reputation (basato su familiarity, favourability, trust e advocacy, dove trust, la fiducia, è al centro del modello). I dati dimostrano che l’attenzione all’economia circolare migliora la soddisfazione per la reputazione aziendale: l’indice di reputazione è del 78% per il cluster dei maturi, 68% per gli aperti e 53% per i chiusi. Inoltre, le aziende che hanno un approccio più maturo alla circolarità ritengono di ricevere più fiducia da parte dei propri clienti (80% per i maturi, 69% per gli aperti e 56% per i chiusi) e valutano la propria visione del futuro e le proprie iniziative di csr più positivamente rispetto a quelle del profilo dei chiusi (77% rispetto a 29%).
Anche il grado di soddisfazione rispetto alle performance aziendali è maggiore nelle imprese più aperte alla circolarità: per tutti i cluster i maggiori benefici riscontrati sono di tipo ambientale (83% per i maturi, 51% per gli aperti e 29% per i chiusi), seguiti dalla relazione con i clienti (81% per i maturi, 51% per gli aperti e 28% per i chiusi).
La performance economica è invece più bassa per tutti i cluster, con valori comunque interessanti (67%) nel cluster dei maturi.
I PRINCIPALI DRIVER DELL’ECONOMIA CIRCOLARE
Le aziende interpellate dalla ricerca indicano che la sensibilità dei proprietari nei confronti dell’economia circolare è il fattore che più di tutti le spinge ad adottarne i principi (83% per le imprese del cluster dei maturi, 64% per gli aperti e 33% per i chiusi). Tra i fattori esterni, invece, per i maturi incidono la richiesta da parte dei consumatori di prodotti a basso impatto ambientale (75%), le pressioni dei clienti (73%) e della collettività (72%); per gli aperti i driver esterni principali sono i clienti (48%), seguiti da mercato e collettività (46%); per i chiusi, infine, sono rilevanti il mercato (29%), la collettività (24%) e la necessità di adeguamento alle normative ambientali (21%).