Il mercato pubblicitario complessivo in Italia chiude il 2018 a quota 8,2 miliardi di euro, in crescita del 4% rispetto al 2017. L’Internet advertising pesa per il 36% del totale con il tasso di crescita (+11%) più alto di questo mercato. La tv si conferma ancora come lo zoccolo duro dell’intera pianificazione pubblicitaria nel nostro paese (+1%, per una quota pari al 47% del mercato). Cresce anche la radio (+5%, pari al 5% del mercato), mentre decresce ancora il settore della stampa (-6%, pari al 12%). Il programmatic raggiunge i 482 milioni di euro (+18%), contribuendo oggi al 16% del totale internet advertising. Addressable tv, digital out of home e digital audio potranno ulteriormente far crescere questo mercato.
Questo è quanto emerge dai dati presentati dall’ Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano in occasione del convegno “Data&Media: handle with care!”
Da sottolineare in particolare come nel 2018 il mercato sia tornato ai livelli del 2009, ossia ad una quota di 8,2 miliardi di euro. A parità di valore assoluto, in 10 anni Internet ha guadagnato 7 punti percentuali di quota di mercato sulla Televisione e ben 16 punti percentuali sulla Stampa.
“Il mercato pubblicitario online ha raggiunto quote rilevanti e continua a crescere con tassi a doppia cifra. Una gran parte degli investimenti è determinata da un approccio data-driven. Anche per questo, le data company stanno assumendo nella filiera un posizionamento sempre più importante. Visti i numeri in gioco, inoltre, diventa sempre più determinante costruire chiare strategie di misurazione dei risultati, sia interne alle specifiche imprese sia di contesto per garantire un sano sviluppo di tale mercato” afferma Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio Internet Media del Politecnico di Milano.
Il programmatic advertising, in crescita anche in Italia
Nel 2018 il mercato del programmatic advertising raggiunge i 482 milioni di euro e cresce del 18%. Questa componente si assesta quindi al 16% del totale Internet advertising (era il 15% nel 2017) e al 26% della Display advertising (era il 25%).
Il mercato italiano è in continua crescita anno su anno, ma con tassi non così alti se confrontati con altri paesi: sempre nel 2018 infatti Germania e Francia crescono ben oltre il 30%, US del 30% e UK del 25%, paesi che inoltre hanno una penetrazione del programmatic sulla componente display più alta rispetto a quella dell’Italia.
“Al di fuori della raccolta dei grandi player over the top (ott), esiste ancora una buona fetta di investimenti in reservation (ossia in acquisto diretto senza automazione), sulla quale il mercato programmatic potrebbe crescere. Tuttavia, anche altri ‘mondi’ come addressable tv, digital out of home e digital audio portano con sé la possibilità di pianificare spazi in modalità programmatica. Con la crescente diffusione di smart tv, monitor digitali e smart speaker, questi spazi pubblicitari saranno sempre più presenti sulle piattaforme in programmatic e nelle disponibilità degli investitori. È da qui che potrà arrivare principalmente la crescita del programmatic nei prossimi anni” afferma Andrea Lamperti, direttore dell’Osservatorio Internet Media.
Il mercato delle data company in Italia
Per le aziende investitrici italiane è diventato sempre più importante ricorrere ai third party data provider per poter arricchire la conoscenza dei clienti e le indicazioni sui contatti in proprio possesso. La capacità di integrazione dei dati venduti con le informazioni già presenti in azienda è quindi fondamentale: dall’analisi condotta (che ha compreso 28 data company attive in Italia), emerge che l’89% del campione permette questa attività: 8 su 10 tramite cookies matching e solo alcune attraverso altre tecnologie.
Le aziende che si muovono in questo mercato si possono suddividere in due macro-categorie: da una parte, i data provider “puri” (o data providers & technologies), ossia coloro che mettono direttamente a disposizione dell’acquirente i dati; dall’altra le buying technologies, che invece veicolano i dati esclusivamente in corrispondenza dell’attivazione congiunta di una campagna pubblicitaria. Indipendentemente da queste due macro-categorie, ogni azienda può offrire diverse tipologie di dato: tra le più diffuse troviamo i dati socio-demo (come sesso, età o reddito) e di interesse, venduti dal 93% dei provider; seguono i dati comportamentali (ad esempio, cronologia di navigazione e ricerche sui browser) venduti dall’89%, i dati di purchase (legati agli acquisti) e i dati geo-local (per fornire all’utente messaggi contestuali alla sua posizione) venduti dal 71%; infine i dati psicografici (che si focalizzano sulla comprensione degli attributi cognitivi, come ad esempio le emozioni dei consumatori, 39%) e gli analytics in store (comportamento in punto di vendita, 25%).
La media transparency
Il tema della media transparency ha ricevuto grande attenzione negli ultimi anni all’interno del filone della misurazione e la ricerca 2019 dell’Osservatorio Internet Media, in continuità con l’edizione precedente, ha individuato a riguardo 5 dimensioni di analisi: viewability, ad fraud prevention, brand safety, accredited third party evaluation, data trasparency & value chain fee and rebate.
“La tematica della viewability rimane di interesse primario per tutti quei player che lavorano con obiettivi di branding/consideration (per il 73% dei rispondenti è un argomento ad alta o molto alta priorità), tanto da aver trovato collocazione naturale all’interno delle metriche standard di misurazione delle campagne pubblicitarie online tramite la qualificazione delle metriche esistenti (come viewable impressions, viewable completion rate ecc.).” Afferma Nicola Spiller, direttore dell’Osservatorio Internet Media.
La messa a disposizione per i brand di contesti di comunicazione in linea con la legge ed in linea con le policy specifiche delle aziende stesse (brand safety/brand policy) è, universalmente, considerata un requisito di base per l’attività di comunicazione e anche nel 2019 quasi il 74% dei rispondenti considera queste tematiche particolarmente rilevanti. Le grandi aziende multinazionali hanno adottato delle politiche di protezione a livello centrale molto cautelative, prevedendo accordi stringenti con i partner di filiera e liste di esclusione (black list) estremamente selettive.
Il tema dei meccanismi di protezione dall’ad fraud è tipicamente percepito come importante da coloro che operano principalmente con obiettivi di conversion. Le imprese più sensibili hanno avviato un progressivo percorso di attenta valutazione e selezione dei propri partner di marketing e comunicazione e considerano adeguate le disposizioni per gestire le maggiori criticità derivanti da tale tematica.
La misurazione delle performance da parte di terze parti accreditate (accredited third party evaluation) è un’area all’interno della quale la sensibilità da parte delle imprese investitrici è cresciuta nell’ultimo anno in modo considerevole. Tale interesse si è tradotto in un numero crescente di realtà per le quali gli investimenti in certificazioni e tracking sono aumentati nel tempo, anche fino a coprire la totalità delle campagne di comunicazione, a testimonianza del fatto che tali spese vengono percepite come a valore aggiunto per il controllo dell’efficacia di tali iniziative.
“Un’ultima dimensione riguarda la trasparenza sulla distribuzione delle fee lungo la filiera (per es. sconti, diritti di negoziazione ecc.) e, per le iniziative data driven, sulla proprietà e qualità dei dati e sulla composizione del costo e qualità degli spazi media acquistati (data transparency & value chain fee & rebate)” conclude Nicola Spiller, direttore dell’Osservatorio Internet Media. “Le aziende più evolute stanno lavorando per ridurre l’opacità percepita, secondo tre direttrici di internalizzazione: competenze, dati e tecnologie. Ovviamente questo tipo di soluzioni pongono altri quesiti relativi alla gestione del dato, come la condivisione di dati con i partner esterni, che impone la costruzione di rapporti di filiera improntati alla collaborazione e basati sulla fiducia”.
La blockchain in ambito Media
Le tecnologie blockchain sono incluse nella più ampia famiglia delle tecnologie di distributed ledger, ossia sistemi che si basano replicano l’insieme della conoscenza su un registro distribuito fra i nodi della rete e che può essere letto e modificato da essi.
Le sue principali caratteristiche (un network decentralizzato e in grado di disintermediare gli attori esistenti; un registro, immutabile, trasparente e facilmente verificabile; trasferimenti, tracciabili, programmabili e in grado di digitalizzare i dati) rendono la blockchain particolarmente interessante per i vari ambiti applicativi e un potenziale strumento per migliorare i servizi esistenti e ridurne i costi. All’interno del mondo media, una delle aree di applicazione più importante è quella dell’advertising online. La blockchain può essere associata in particolare a due ambiti applicativi: la user engagement, ossia tutte quelle soluzioni che permettono di coinvolgere l’utente in modo attivo all’interno della filiera pubblicitaria, e la media trasparency, ossia tutte quelle soluzioni che permettono di favorire la trasparenza all’interno della filiera pubblicitaria. A tal proposito infatti, basandosi su un registro condiviso, immutabile e sull’utilizzo di smart contract e chiavi crittografiche può essere utilizzata al fine di tracciare in modo sicuro e inequivocabile tutti quelli che sono i passaggi all’interno della filiera pubblicitaria. Ogni transazione viene memorizzata su un registro decentralizzato gestito direttamente da quelli che sono i partecipanti del network. Questo meccanismo può quindi, almeno sulla carta, rispondere a molte delle richieste di maggiore trasparenza emerse negli ultimi anni; la prossima sfida è quella di capire se è sostenibile, non solo economicamente, per l’intero sistema.
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