Oggi la plastica, “materiale alchimistico per definizione”, come scrisse Roland Barthes, sembra ribellarsi al suo creatore, come se l’uomo fosse una sorta di apprendista stregone, incapace di regolarne la potenza e l’uso. Ma cosa è successo? E dove può portare questa tendenza? Per capirlo è necessario considerare la sensazione diffusa che si siano superate le soglie del disastro ambientale, per una responsabilità collettiva, spesso consapevole: quasi 3 persone su 4 ritengono di aver personalmente contribuito alla formazione dell’isola di plastica nell’oceano pacifico, non preoccupandosi per anni dell’inquinamento. Come ci raccontava il mai troppo compianto Alex Langer più di 30 anni fa “le cause dell’emergenza ecologica non risalgono a una cricca dittatoriale di congiurati assetati di profitto e di distruzione, bensì ricevono quotidianamente un massiccio e pressoché plebiscitario consenso di popolo”. L’ampio consenso di cui parlava Langer sta però venendo meno, e le persone sono sempre più preoccupate del futuro proprio e del pianeta: ciò è legato ai cambiamenti climatici, alle prese di posizione di molte istituzioni e alla crescita di sensibilità di alcune aziende private. Un aspetto importante perché il consumatore chiama tutti gli attori in correità e ritiene che non si stia facendo abbastanza: si avverte l’urgenza di agire in modo serio e corale, anche pressando le istituzioni perché prendano posizioni più forti per arginare il problema, agendo su regolamenti e sulla leva fiscale per disincentivare i comportamenti non virtuosi.
In questo scenario la plastica è vissuta come un problema serio, sentito in modo diffuso. L’imballaggio, l’involucro che protegge e ricopre i prodotti, ne è l’emblema, l’elemento iconico su cui sta crescendo l’attenzione: l’87% degli italiani è molto preoccupato per l’impatto del pack sull’ambiente. A questa attenzione sull’impatto ambientale si associa, seppur minoritaria, una preoccupazione riguardo a possibili effetti negativi sulla salute, che – qualora diffusi – potrebbero accelerare il processo di allontanamento veloce e acritico dai polimeri come sono oggi conosciuti. Prevale comunque una forte ambivalenza, determinata da una parte dalle preoccupazioni descritte, dall’altra dal fatto che le materie plastiche hanno un’indubbia utilità e pochi sono pronti a farne completamente a meno. Inoltre, esiste un’idea abbastanza diffusa che si confonde con la speranza, che la tecnologia sia in grado di far fronte al problema in futuro, sia identificando materiali plastici senza controindicazioni, sia recuperando le plastiche in circolazione; del resto la preoccupazione per gli imballaggi è minore quando si tratta di bioplastiche o di plastica completamente riciclabile. L’uomo alchimista e apprendista stregone in fondo è fiducioso nel fatto che, oltre ad aver creato il problema, possa trovare la soluzione: solo non bisogna attendere troppo tempo per dare segnali positivi e concreti in questa direzione, ossia che la presa di coscienza collettiva del problema si traduca in azioni serie, volte a usare una plastica di minore impatto, con una gestione ottimale di riciclo e smaltimento ove essi fossero necessari.