Sempre più spesso ci imbattiamo in strumenti per raccogliere le firme delle persone con strumenti elettronici ed è ormai considerato normale utilizzare pad dotati di sensori in grado di catturare il segno grafico della nostra firma. Si tratta di un’evoluzione tecnologica in linea con i tempi che contribuisce al risparmio di carta e può aiutare a rendere più agili le transazioni, migliorando sotto certi aspetti anche la customer experience. È però legittimo chiedersi quale valore abbiano queste firme eseguite senza uso dell’inchiostro e di carta, considerando che vi sono notevoli differenze tra gli strumenti in campo. Da un lato ci sono le firme grafometriche, strumenti ormai definiti anche per il loro valore legale, che consistono nella modalità di firma elettronica realizzata con un gesto manuale del tutto simile alla firma autografa: i dati di una firma sono raccolti mediante un dispositivo in grado di acquisire dinamicamente il movimento di uno stilo, azionato direttamente dalla mano di una persona, su una superficie sensibile (emulando una penna sulla carta) e il segno grafico risulta identico alla firma tradizionale; in più, vengono raccolti i cosiddetti metadati cioè le informazioni che permettono di rendere certa la provenienza della firma e garantirne l’autenticità. I sensori registrano, infatti, modalità di composizione della firma, angolo di inclinazione della penna, pressione, tempo di composizione e abbinano queste informazioni al segno grafico. Il risultato è che la firma così generata ha valore legale, equiparabile a quella autenticata da un pubblico ufficiale.
Altra cosa sono le firme eseguite su schermi elettronici con una penna, senza però che vengano raccolti metadati, e le firme eseguite direttamente con un dito: in questo caso la firma non ha alcun valore ed è legalmente contestabile. Ma c’è un altro aspetto che salta all’occhio, soprattutto se provate a firmare con un dito, cercando di simulare la vostra firma: il risultato è uno sgorbio che alla fine lascia molto perplessi e che poco o nulla ha a che fare con il proprio tratto distintivo. Non ha nulla a che fare con la mia firma. Non mi appartiene. È un’altra cosa. Eppure è la mia firma. Nella storia umana la firma è sempre stata importante: è l’espressione della nostra identità. È il segno grafico che ci rappresenta. Toglierle la forma che le abbiamo dato, nel corso degli anni, significa toglierci un pezzetto della nostra identità. Un altro pezzetto. Certo è comodo firmare cosi. Ma non va bene. Ci rende tutti uguali e non lo siamo. Altro che personalizzazione della customer experience!
Magritte, guardando una firma fatta col dito, avrebbe detto “Ceci n’est pas une signature”. Il suo quadro, simbolo del Surrealismo, si chiama, non a caso, “l’inganno delle immagini”.
Vorrà dire qualcosa?
Marco Maglio
Avvocato in Milano, nel 2001 ha fondato lo Studio Legale Maglio & Partnes che fin dalla sua costituzione fornisce assistenza legale specialistica a primarie aziende nazionali e a Gruppi multinazionali, ad Enti pubblici e ad Organizzazioni non profit nell’ambito della data protection, dell’adozione di modelli organizzativi e di codici etici, del diritto del marketing, della prevenzione delle pratiche commerciali scorrette nella comunicazione commerciale interattiva, nel commercio elettronico, nel telemarketing e nelle vendite dirette. Nel 2002 ha fondato Lucerna Iuris, network giuridico formato da legali di tutti i paesi dell’Unione Europea esperti di questioni di privacy, marketing e di comunicazione.