Da uno studio sul campo effettuato da Amagi in un’area delimitata dell’hinterland milanese è emerso che il prezzo non è la variabile determinante nella scelta di prodotti ortofrutticoli con una forte componente qualitativa
Vi racconterò una storia un po’ strana che nasce da una premessa insolita. Si tratta di un’esperienza sul campo condotta, in via eccezionale, in un piccolo supermercato di 400 metri quadri, grazie alla fiducia dei gestori nostri amici. Brevemente, Amagi e io abbiamo sperimentato, in totale libertà, un’attività di acquisto e di comunicazione verso la clientela che vive dentro un’isocrona con al centro Rozzano in provincia di Milano. In questa specie di laboratorio, per un anno e mezzo, abbiamo sperimentato molte ipotesi e contro ipotesi che animano il dibattito della nostra business community e riguardano il ruolo dei prezzi e la propensione dei clienti all’innovazione. Un lavoro volutamente innovativo che colma un vuoto: purtroppo, il marketing strategico e operativo sperimenta ancora poco e secondo gli approcci troppo collaudati della “scolastica”, fondata sui grandi apporti dei sociologi americani degli anni ’50 e ’60.
Ma andiamo con ordine. Poter lavorare con un ampio parco clienti molto variegato dell’hinterland milanese è un gran vantaggio. Vi si trovano infatti gli stili di consumo più avanzati d’Italia e i consumatori più informati e più viziati.
Le verifiche dei fatti sul campo sono tante. La prima: il prezzo a scaffale non è la variabile determinante nella scelta da parte del cliente dei prodotti con una forte componente qualitativa. Lo affermo dopo aver imparato molte cose sulla complessità delle filiere agricole. Su questa base, ritengo che l’affermazione per cui il consumatore (al singolare) è “sempre più esigente e sempre più informato” è stupida. I nostri gestori, per tradizione grossisti specializzati in ortofrutta, ricevevano una fornitura giornaliera di prima qualità dal mercato di Milano. La loro offerta (comparata con quella dei competitor in base a calibro, brix, durezza ecc.) chiedeva prezzi del 5-10% inferiori agli altri supermercati.
Le indagini tra la clientela e campioni di popolazione della zona hanno ripetutamente confermato un assunto di base: ciò che conta è il rapporto qualità/prezzo percepito e non i prezzi reali. Il 10% in meno non è stato sufficiente a convincere del vantaggio offerto una parte dei clienti condivisi con altri supermercati dell’intorno. Anzi, per alcuni, trovare la merce selezionata, pulita e ben esposta segnala non la buona qualità, ma un prezzo “pensato” elevato (è il “complesso di Biancaneve” su cui non mi dilungo). Si spiega in questo modo il successo eclatante di diversi anonimi, piccoli supermercati indipendenti di ortofrutta dell’hinterland milanese. Essi fanno della loro ambientazione shabby e della massificazione del prodotto (tutto quel che si raccoglie dalla pianta, messo nei bin) un veicolo di comunicazione del risparmio. Non importa se il grande scarto non edibile altera il prezzo reale. Per molti entusiasti, poter frugare, selezionare essi stessi la merce dal mucchio, è simbolo di risparmio.
Qualità è un concetto vaghissimo e spesso distorto. Rapportarlo al ricordo confuso di un prezzo significa, pertanto, generare un indicatore del tutto soggettivo. Chi tra le persone comuni sa distinguere la qualità di un sedano giovane da uno vecchio, sezionandoli per paragonarne la costolatura e la fibrosità? Chi calibra le ciliegie per valutare quante sono percentualmente quelle di calibro 26, 24 e 22, contenute nella vaschetta? Chi, con un semplicissimo rifrattometro, coglie la differenza tra 22° e 18° brix (il grado brix indica il grado zuccherino di frutta e verdura ed è un parametro di qualità del prodotto) delle albicocche? Cito sempre, tra le tante rilevazioni, l’esempio delle vaschette alte, da 500 g, contenenti, sistematicamente 47/49 ciliegie, tra cui (in mezzo) 7/9 bacche spaccate. In breve, il loro prezzo reale (tenuto conto del valore nullo delle ciliegie difettate) dovrebbe essere percepito maggiore del 17%. Il giudizio di qualità dipende dalla qualità delle esperienze pregresse.
I clienti/consumatori dovrebbero essere educati alla qualità, sia pur con dei limiti. A un bulldog non puoi insegnare a tirare una slitta e a un husky a danzare come un barboncino. Nel commercio le diverse inclinazioni e le culture dei clienti saranno sempre ineliminabili. Lo scopo, invece, è semplicemente diminuire l’asimmetria informativa. Affiggete nel punto di vendita foto simili a quella del sedano. Spiegatele, e trasferirete conoscenze basilari. Usate i segnaprezzo di diverso colore per segnalare che il prodotto è una primizia, in piena stagione o alla fine del raccolto. Negli Usa lo fanno e la qualità (ossia il valore) del venduto, assieme alla soddisfazione dei clienti, s’innalzano progressivamente.
Interpretando il ruolo del foodie (cioè l’addetto che riordina gli scaffali e parla con i clienti) ho imparato quanto sia importante il messaggio verbale. Alle clienti perplesse dai 2,90 euro richiesti per le rare mele Envy, ho spiegato che le stesse mele erano esposte a un onestissimo 5,90 nei più prestigiosi negozi del centro di Milano. La differenza si spiegava con i maggiori costi di affitto e gestione, nonché di personale. La predisposizione di quelle signore allora mutava radicalmente.
Si possono utilizzare, però, anche strumenti semplici come (nel nostro caso) un’imitazione casereccia del Fearless Flyer (la semplicissima brochure del fuoriclasse americano Trader Joe). Spiegate che la nuova, introvabile Acqua Oxygizer contiene 30 volte l’ossigeno delle acque normali e i runner e i biker della zona ne diventeranno clienti fedeli, ben disposti a pagare un prezzo, diciamo, interessante. Morale della storia. Invece di confrontarci sempre su principi astratti ricavati da visioni generalizzate e “sistemiche”, sarebbe più utile raccogliere e confrontare case history reali, per evidenziarne i principi, il decorso, l’applicabilità ad altre situazioni, la loro scalabilità. In fondo, non si tratterebbe di fare alcunché di diverso da ciò che fanno la medicina, la biologia e tanti altri campi del sapere.
TRASMETTERE AI CLIENTI IL VALORE DEL PRODOTTO
Interpretando il ruolo del foodie, l’addetto che riordina gli scaffali e parla con i clienti, ho imparato quanto sia importante il messaggio verbale. Alle clienti perplesse dai 2,90 euro richiesti per le rare mele Envy, ho spiegato che le stesse mele erano esposte a un onestissimo 5,90 nei più prestigiosi negozi del centro di Milano. La differenza si spiegava con i maggiori costi di affitto e gestione, nonché di personale. La predisposizione di quelle signore allora mutava radicalmente. Provate a spiegare che la nuova, introvabile Acqua Oxygizer contiene 30 volte l’ossigeno delle acque normali e i runner e i biker della zona ne diventeranno clienti fedeli, ben disposti a pagare un prezzo, diciamo, interessante.