In Italia più della metà delle aziende è in grado di leggere i dati storici di cliente per fare ipotesi su come soddisfarne i bisogni, ma pochissimi utilizzano strumenti predittivi. All’estero, intanto, sono già molti i casi di creazione di valore con i dati
I dati ci sono, ma come ricavarne valore? Questa è la domanda che tutti si fanno. Quelli che i dati li raccolgono – oltre il 90% delle aziende, tra diversi settori, ha un database clienti – ma ancora non li utilizzano, e anche quelli che già li usano sono nel dubbio costante di non sfruttarli a dovere. Più si sente parlare di “data monetization”, più tra i manager si diffonde la sensazione di essere seduti su un forziere di monete d’oro e di non avere ancora la chiave.
Ma cosa significa esattamente “data monetization”? Non si tratta esclusivamente della vendita o scambio di dati tra business partner ma, come ben illustrato dalla definizione della società di ricerca Gartner, “la data monetization si riferisce all’impiego dei dati per ottenere vantaggi economici quantificabili. Ciò include impieghi indiretti quali: miglioramenti misurabili della performance aziendale, migliori condizioni negoziali dai partner, sviluppo di nuovi prodotti/servizi (productizing information), aggiunta ai prodotti/ servizi esistenti di una componente informativa che dà valore aggiunto (informationalizing products) fino alla vendita vera e propria dei dati (diretta o mediante terze parti)”.
Non sono concetti nuovi. Già nel 1984, Michael Porter aveva individuato le principali opportunità di creazione di valore che si schiudevano per le imprese grazie alla (allora) nascente disponibilità di dati: migliorare le decisioni nell’ambito delle strategie già in essere, sviluppare strategie nuove realizzando nuovi prodotti e processi grazie ai dati, passare da una visione dei dati come “ancillari” alle operations dell’azienda, a risorsa intangibile fondamentale, al pari del brand, capace di generare nuovi business model. Ciò che è nuovo oggi è la disponibilità di sempre nuovi tipi di dati, grazie soprattutto all’Internet of Things, di algoritmi migliori per estrarre insight dai dati stessi, e della potenza di calcolo necessaria.
Il primo, più diffuso, approccio alla monetization, che alcuni chiamano “internal data monetization”, è quello dell’uso degli analytics per ricavare insight dai dati che si traducano in maggiori profitti, minori costi e/o riduzione dei rischi. Per esempio, come abbiamo illustrato in un precedente numero di Promotion Magazine, il grande interesse di oggi per gli algoritmi d’intelligenza artificiale risiede proprio nel fatto che realizzano previsioni migliori: la capacità di prevedere meglio gli eventi futuri (dalle quantità di prodotto domandate a seconda del prezzo proposto ai tassi di risposta delle campagne di advertising e promozionali) riduce il rischio per l’impresa.
Lo sviluppo di nuovi prodotti/servizi o l’aggiunta di componenti informative ai prodotti/servizi esistenti è una delle aree che attira maggiore attenzione. In particolare, oggi abbiamo acquisito che ci troviamo nell’era dell’”economia dell’esperienza” e che le persone cercano e acquistano esperienze, piuttosto che singoli prodotti e servizi, cosicché tendiamo a ragionare in questo campo parlando di “aggiungere valore alla customer experience” grazie ai dati. Ci sono tanti casi interessanti. Abbiamo studiato recentemente il settore dell’hospitality, dove le catene di hotel hanno fatto grandi passi avanti per migliorare l’esperienza del cliente. Qualche giorno fa la catena Hyatt ha lanciato la nuova app, riservata ai membri del programma fedeltà, che permette di prenotare, scegliere la stanza, sbloccare la serratura eliminando la necessità della chiave sia per la propria stanza sia per le aree dell’hotel riservate agli ospiti come palestra e spa, sapere quando la stanza è stata riordinata, vedere contenuti video dai propri abbonamenti a servizi streaming direttamente sulla tv della camera senza bisogno di altre credenziali, fare richieste al personale dell’hotel e ricevere feedback tramite chat, vedere il programma degli eventi e meeting in svolgimento nell’hotel durante i giorni di permanenza.
L’app di Delta Airlines ha appena introdotto un altro esempio di servizio a valore aggiunto per il cliente: ti informa quando la tua valigia è stata caricata a bordo, quando è stata scaricata e stima anche tra quanti minuti sarà disponibile sul nastro del ritiro bagagli. L’app di United Airlines ti dice: “hai tre ore prima della tua coincidenza, quando sei al terminal X se cerchi un posto per bere qualcosa sappi che la birreria Y è proprio di fronte al gate da cui parte la tua coincidenza”.
Un’altra via per creare valore con i dati è quella di diventare “piattaforma”, attraverso l’apertura a terze parti. Viene ovviamente in mente Facebook, ma è più interessante considerare le aziende nate con modelli di business tradizionali che si stanno aprendo a questo approccio, e considerare l’esempio delle catene di supermercati Kroger e Safeway in Usa. Hanno annunciato che monetizzeranno i dati dei clienti raccolti tramite i loro programmi fedeltà e i propri asset digitali fungendo da media agency per i loro partner, che sono sostanzialmente i brand del largo consumo. A luglio la divisione innovazione di Kroger ha presentato Stratum, un servizio di analytics a pagamento alimentato con i dati di comportamento, sia in store sia online dei clienti del retailer, che i brand potranno utilizzare non solo per le analisi più tradizionali delle vendite, come si fa ormai da un ventennio, ma per campagne di comunicazione targettizzate. Pioniere in questo campo è stato un altro retailer americano, Albertson’s, che ha aperto nel 2018 Albertsons Performance Media (Apm), un servizio in grado di raggiungere milioni di clienti sui social, sulle property digitali dell’insegna e su siti di terze parti, generando flussi di ricavi aggiuntivi per il retailer, in un settore dove i margini del core business sono tradizionalmente molto bassi. Qual è lo scenario in Italia? Oggi più della metà delle aziende è in grado di leggere i dati storici di cliente per fare ipotesi su come soddisfarne i bisogni, ma pochissimi utilizzano strumenti predittivi: il 10%.
I vantaggi della internal data monetization potrebbero però essere limitati dalle capacità dell’impresa di estrarre valore e dalla sua cultura, così come da fattori esterni di tipo legislativo, competitivo o tecnologico. L’Osservatorio Fedeltà sta svolgendo proprio in questo periodo un’indagine tra le aziende italiane sulla creazione di valore con i dati di cliente. Con l’avvertenza che i risultati che presentiamo in questo articolo sono ancora provvisori, poiché lo studio non è concluso, troviamo interessante condividere alcune evidenze, calcolate sulle risposte di circa 250 aziende di diversi settori (in prevalenza retail, servizi e industria del largo consumo), per il 75% appartenenti al b2c. Abbiamo innanzitutto chiesto ai manager qual è l’ostacolo principale che impedisce un uso migliore dei dati di cliente nella loro azienda. L’integrazione dei dati tra le diverse fonti e touchpoint appare la sfida principale, seguita da un problema organizzativo, quello della condivisione dei dati tra funzioni aziendali. Troppo spesso infatti i dati sono ancora “confinati” al marketing, all’agenzia che si occupa dei social media, al customer service, e non diventano patrimonio integrato e comune.
Ulteriori indicazioni sugli ostacoli alla creazione di valore con i dati vengono dalle risposte degli intervistati sul tema della personalizzazione. Le strategie di marketing utilizzano in modo crescente la personalizzazione dei messaggi, delle offerte, del pricing, dell’esperienza, facendo leva sui dati di cliente. I manager hanno indicato le difficoltà reali che incontrano sul cammino verso la personalizzazione. È molto interessante notare che nel giro di pochi anni la sfida culturale è stata superata: sono poco più del 20% le aziende dove l’ostacolo principale è convincere il top management dell’importanza della personalizzazione, e poco più del 30% le aziende che vedono proprio nella cultura dell’impresa la difficoltà da superare. Senza dubbio le questioni legate alla privacy e alla recente entrata in vigore del Gdpr hanno reso le imprese molto caute e frenano diversi approcci alla monetization, in primis a quella che coinvolge terze parti. Ci stupisce invece che per tanti manchino l’adeguata formazione dei dipendenti e soprattutto l’infrastruttura tecnologica. Oggi il mercato italiano dei fornitori di prodotti e servizi per la loyalty (che abbiamo analizzato nell’ultimo white paper dell’Osservatorio, scaricabile dal sito www.osservatoriofedelta. it) è ricco di soluzioni di tutti i tipi per le diverse attività che coinvolgono i dati di cliente, dagli strumenti di analytics a quelli di automation delle campagne digitali.
APPUNTAMENTO A PARMA PER IL CONVEGNO DELL’OSSERVATORIO
I risultati contenuti nei grafici presentati in queste pagine sono provvisori, perché è ancora in corso l’indagine che l’Osservatorio Fedeltà sta svolgendo tra le aziende italiane sulla creazione di valore con i dati di cliente. Lo studio coinvolge circa 250 aziende di diversi settori (in prevalenza retail, servizi e industria del largo consumo), per il 75% appartenenti al b2c. Promotion Magazine e l’Osservatorio Fedeltà invitano i lettori il 24 ottobre a Parma alla XIX edizione del Convegno dell’Osservatorio dal titolo “Dati, valore e fedeltà”, durante la quale saranno presentati i risultati definitivi della ricerca.
PRIVACY E GDPR FRENANO LA MONETIZATION DEI DATI
Particolari indicazioni sugli ostacoli alla creazione di valore con i dati vengono dalle risposte degli intervistati sul tema della personalizzazione. Se da una parte è molto interessante notare che nel giro di pochi anni la sfida culturale è stata superata (sono poco più del 20% le aziende dove l’ostacolo principale è convincere il top management dell’importanza della personalizzazione e poco più del 30% le aziende che vedono proprio nella cultura dell’impresa la difficoltà da superare), dall’altra le questioni legate alla privacy e alla recente entrata in vigore del Gdpr hanno reso le imprese molto caute e frenano diversi approcci alla monetization, in primis a quella che coinvolge terze parti.
Cristina Ziliani
È professore ordinario di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Loyalty marketing e Customer relationship management. Dal 1999 è responsabile dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma. È autrice di oltre 60 articoli scientifici e 5 libri sui temi del loyalty marketing e data driven marketing. Nel 2020 ha pubblicato con il collega Marco Ieva, per l'editore internazionale Routledge "Loyalty Management: from Loyalty Programs to Omnichannel Customer Experiences". www.osservatoriofedelta.it