Per i clienti è difficile capire quali siano i punti di vendita realmente più vantaggiosi

Nel nostro paese l’offerta di ogni insegna è più o meno analoga a quella dei concorrenti e il sistema distributivo non è ancora gerarchicamente strutturato tra chi segue logiche del prezzo e chi si propone come specialista nella qualità e nel servizio

La “teoria delle catastrofi” si sviluppa nell’arduo campo della topologia differenziale e, in parole molto povere, razionalizza i cambiamenti repentini di stato dopo una lenta, progressiva sequenza di variazioni infinitesimali. Insomma, spiega ciò che la saggezza popolare colse nelle massime esperienziali “dell’ultima goccia che fa traboccare il vaso” o “della pagliuzza che spezza la schiena all’asino”. Nel retailing i fenomeni sono lenti, impercettibili, ma, saltuariamente, producono anch’essi quelle rotture dello status quo che alimentano la rotazione della famosa wheel of retail, favorendo nuovi player e schiacciando quelli più inefficienti. Non a caso, negli Usa oggi si parla di “retail apocalypse”, dato che storiche e prestigiose insegne sono finite o rischiano di finire, inaspettatamente e inconsapevolmente, nel Chapter 11 della legge fallimentare statunitense. Anche in Italia si avvertono segnali preoccupanti che invitano a meditare.

Dunque, riprendendo l’esempio riportato nell’articolo pubblicato sul precedente numero di questa rivista relativo all’insediamento di nuove insegne nella realtà di una middletown dell’hinterland milanese, possiamo cogliere anche quest’aspetto, ovvero il lento mutare dei rapporti di forza tra concorrenti. Purtroppo, nonostante la dovizia di convegni ed esternazioni di esperti, non si è mai prestato attenzione alla necessità di adottare il cosiddetto “individualismo metodologico” nell’analizzare fenomeni come quelli di nostro interesse. Mi riferisco alla consapevolezza che il risultato finale di un processo globale, quale il mutare della “domanda del mercato”, altro non è che la somma infinitesimale di microeffetti che scaturiscono da psicologie, abitudini, fenomeni cognitivi (tra loro tutti diversi) di ogni cliente coinvolto dal sistema.

Il mutamento graduale delle scelte individuali, indotto dai primi outsider che stanno cambiando le regole del gioco, preme sempre più forte sullo status quo e prelude a un radicale riassetto dell’arena competitiva.

Ciascun cliente ha infatti le sue “buone ragioni” per scegliere in un certo modo e, solo in questo senso, va ritenuto “razionale”. Il livellamento statistico del tutto, che conduce a pochi numeri di sintesi, è il più delle volte un piacevole inganno. Un esempio è l’idea metafisica per cui cambiando il livello dei prezzi a scaffale di una serie di prodotti si dovrebbe avere una reazione generalizzata, uniforme e prevedibile da parte di un ampio pubblico di consumatori. Se così fosse, i discount, insensibili alle forsennate promozioni dei supermercati classici, non avrebbero raggiunto i livelli di goodwill che il prossimo Cx Store Award di Promotion Magazine dimostrerà indubitabilmente.

Detto ciò, l’esperienza di U2, di Tigotà e di Md, entrati nella nostra middletown turbandone gli equilibri, è particolarmente interessante: quello di U2, soprattutto. “Non facciamo promozioni! Non stampiamo volantini!”, “Non abbiamo carta fedeltà!”, “Teniamo i prezzi bassi sempre!”, afferma a chiare lettere quest’insegna. Ma come sta reagendo la popolazione che, dopo due mesi, è ancora perplessa nel decidere a chi essere fedele? Si risparmia rispetto alle tradizionali Coop ed Esselunga? Boh! Molte marche esposte non si possono confrontare e, ovviamente, neppure le private label e neanche le specialità locali e quelle al banco. Dunque, tutto il discorso si sta spostando sul terreno impalpabile della qualità percepita, del servizio, della simpatia, dell’ambiente, della comodità ecc. Su tutto, fuorché sui prezzi.

La cosa strana è che i retailer italiani predicano ossessivamente la rilevanza strategica del prezzo, ma rifiutano di tradurla in veri strumenti di controllo reciproco, come per esempio il “saving catcher” di Walmart o la “liste des vos courses” di Super U. Il primo strumento nasce dalla rilevazione sistematica dei prezzi comparabili dei concorrenti in ogni location e dal sistema di rimborso automatico sulla Walmart Credit Card dei clienti delle varie differenze negative di prezzo rispetto a quelli del “gigante di Bentonville”. In questo modo la retaliation di Walmart azzera ogni differenziale competitivo a proprio sfavore, ribadendo il proprio ruolo di “price setter” da non sfidare. Il secondo strumento, molto più semplice, consiste nel memorizzare e rendere disponibile per ogni possessore di una card familiare di Super U il tracciato delle spese fatte. Questo evita la fatica di tenere gli scontrini e di sommarli (pratica adottata solo da una minoranza veramente ristretta di clienti) per controllare l’effettivo risparmio complessivo. Si tratta di una soluzione adottata, peraltro, anche da Amazon.

Tuttavia, questi esempi non sembrano interessare le insegne italiane. Da un lato c’è chi sembra ineluttabilmente legato alle promozioni hi-lo e chi ritiene (sbagliando) che il diminuire l’asimmetria informativa a sfavore dei propri clienti possa renderlo più vulnerabile agli attacchi della concorrenza. Dall’altro, c’è chi, come Unes-U2, ha adottato la politica dell’edlp (every day low price), ma non si è dotato degli strumenti che potrebbero dimostrare (analogamente a Super U) come, nel medio periodo, i propri prezzi stabili risultino più convenienti delle promozioni profonde ma saltuarie degli altri, evitando peraltro di condizionare la scelta del cliente. Il risultato è che nel nostro paese l’offerta di ogni insegna è più o meno analoga a quella dei concorrenti. Il sistema distributivo non è ancora gerarchicamente strutturato tra chi segue logiche del prezzo e chi si propone come specialista nella qualità e nel servizio.

Ne discende pertanto un’inefficienza complessiva che va a scapito delle scelte della clientela, ma anche di una concorrenza basata su distinzioni più chiare.

In conclusione, nella nostra middletown, così come in altre situazioni analoghe, il mutamento graduale delle scelte individuali, indotto dai primi outsider che stanno cambiando le regole del gioco, preme sempre più forte sullo status quo e prelude a un radicale, abbastanza imminente, riassetto dell’arena competitiva che varrà la pena di seguire attentamente.

LA RILEVANZA STRATEGICA DEL PREZZO MISURATO

I retailer italiani predicano la rilevanza strategica del prezzo, ma rifiutano di tradurla in veri strumenti di controllo reciproco, come per esempio il “saving catcher” di Walmart. La soluzione consiste nel mettere in grado ogni cliente, dotato di un’applicazione scaricabile sul proprio smartphone da savingscatcher. walmart.com, di sottoporre ad analisi il proprio scontrino, attivando un confronto con i prezzi pagati in Walmart rispetto a quelli praticati dai concorrenti in zona (con alcune limitazioni). La rilevazione sistematica dei prezzi comparabili dei concorrenti in ogni location e il sistema di rimborso automatico sulla Walmart Credit Card dei clienti delle varie differenze negative di prezzo rispetto a quelli del “gigante di Bentonville” azzera ogni differenziale competitivo a proprio sfavore, ribadendo il proprio ruolo di “price setter” da non sfidare.

Daniele Tirelli