Nel 1918 il mondo fu devastato da un’epidemia di influenza che arrivò a coprire mezzo miliardo di persone, un quarto della popolazione mondiale, generò quasi 100.000 morti (più delle guerre mondiali e della peste nera), ridusse di 12 anni l’aspettativa di vita in Europa. Le fu dato il nome di “Spagnola” poiché riportata dapprima nei giornali spagnoli, in quanto in Spagna non c’era la censura di guerra; negli altri paesi l’epidemia fu tenuta nascosta dai mezzi d’informazione, tant’è che la sua completa drammaticità venne compresa sono alcuni anni dopo. Oggi non è più così: nel mondo dell’informazione istantanea è difficile bloccare le notizie. Questo conduce a mettere prontamente in atto misure di contenimento, ma allo stesso tempo genera facilmente panico e comportamenti irrazionali, che possono avere effetti di lungo periodo. Il coronavirus appare come un virus in grado di infettare le persone e condizionare i commerci e le economie globali come mai nel passato. L’epidemia di coronavirus si inserisce in un contesto difficile per la Cina, come suggerisce Alessia Amighini (I 5 virus dell’economia cinese). Il rischio è che l’epidemia agisca come acceleratore delle negatività già presenti: il possibile cambio della struttura demografica, seri squilibri strutturali che determinano un debito crescente e un sistema bancario parallelo, una crescente disparità tra le province ricche e povere e, sullo sfondo, guerre commerciali con gli Usa. Per alcuni analisti (Langiu e Sdogati – Scenari Economici) è anche in atto un preciso tentativo americano di ridurre l’interdipendenza Usa-Cina, mediante un disaccoppiamento delle due economie che fa leva sui dazi, ma che ora potrebbe sfruttare l’epidemia per accrescere la virulenza della politica.
Tutto questo avrà un riflesso sull’economia cinese, con una perdita stimata tra l’1% ed il 3%, che si riverbererà sull’economia europea e italiana, sia perché le industrie cinesi rallenteranno la propria attività, interrompendo catene di fornitura molto integrate, sia perché si ridurrà il potere d’acquisto della classe media cinese, sempre più interessata a prodotti europei e italiani, come illustra lo studio Oxford Economics riportato da Nicola Borzi. Il consumatore italiano al momento reagisce con una buona dose di tranquillità, nonostante l’arrivo del virus in Italia, senza cambiamenti repentini delle proprie abitudini. Questa situazione però deve essere accuratamente monitorata e presa in seria considerazione. La crescente incertezza generata dall’epidemia e i suoi contraccolpi economici sulle aziende italiane potrebbero indurre comportamenti via via più cauti nei consumatori, quando non una crescente diffidenza verso alcune categorie di prodotti e sulla loro origine. Affrontare con razionalità l’emergenza, non cercare scorciatoie o di approfittarne, è sicuramente una strategia vincente nel lungo periodo. Perché si tratta comunque di qualcosa di molto più intenso e rischioso del famoso “battito d’ali di una farfalla”.
Possibili effetti del coronavirus su economie e commerci globali
Andrea Alemanno12/03/2020