Cosa succede? Dopo settimane e settimane di chiusura, gli italiani – preoccupati per la propria salute – iniziano ad avere dei segni di cedimento, chiusi in una casa che è una fortezza contro il virus e un po’ prigione. Nella casa, vissuta all’inizio con convinto eroismo, si inizia a stare un po’ stretti: molti non trovano il giusto equilibrio alimentare (quasi la metà), uno su tre si sente solo, uno su quattro dorme male, uno su sei si sente soffocato dai familiari. La casa inizia a essere un po’ troppi luoghi, fortezza contro l’esterno, luogo di lavoro, scuola, centro della socialità, ma anche limite alla stessa.
La costrizione ha un effetto negativo sulla socialità, delegata ai social, e ne fa anche un po’ le spese l’intimità: più del 30% l’hanno ridotta o eliminata. A molti manca un abbraccio, l’affetto caldo e protettivo di un amico o di un amore lontano con cui andare fuori a cena. Tutte queste tensioni rischiano di generare rabbia, che esplode a tratti, nelle urla contro i runner o i cani, ma probabilmente cova diffusamente sotto la cenere ed è pronta a esplodere quando l’emergenza sanitaria sarà meno stringente e arriverà il conto economico.
Le persone reagiscono cercando di dedicarsi ai propri hobby, alla lettura, e in particolare in Italia dedicano molto tempo alla cura della casa e alla cucina, assai più di quanto non stia capitando in Cina (dove ha dominato l’intrattenimento) e negli Usa, dove molto spazio è stato assorbito dagli hobby. Questo pone il problema di come un’azienda, un brand, possa interagire con i consumatori. Di certo è conveniente continuare a comunicare: gli individui si sentono vulnerabili e cercano elementi di rassicurazione e speranza; non esserci porta a perdere questa opportunità. Ma è fondamentale mantenere un tono empatico, serio e autentico, anche perché, nel lungo tempo a loro disposizione, è facile per i consumatori approfondire e comprendere quali elementi non siano veri. E le aziende devono chiedersi se e come possano rispondere al loro grido: chi ci aiuterà a superare questo momento? Chi ci risarcirà di tutto questo? Il giusto modo sarà essere presenti, rassicurare, far capire che si è compresa la situazione, creare elementi di connessione, ma senza strafare, con toni eccessivamente positivi, per evitare il rischio di cadere nel vortice della diffidenza, o ancora peggio, della rabbia.