“I capi che lavo usando un goccino di ammorbidente rimangono molto morbidi e molto profumosi. Anche e soprattutto i capi molto delicati tipo i maglioncini di lana, usando l’ammorbidente ultra concentrato Moschino Coccolino (che fa anche rima), non si infeltriscono e non si rovinano. Di solito compro il Coccolino dalla Tigotà perché usando la carta punti approfitto sempre di sconti pagando il Coccolino, che di per sé è costoso, molto meno rispetto al suo costo iniziale”. Ringrazio Opinion71 per queste righe scritte su Opinioni.it riguardo la limited edition Coccolino by Moschino, utili a proporre un dibattito su questa forma di “collaboration”: l’accoppiamento di marchi del lusso con prodotti di largo consumo. Premessa doverosa: chi scrive segue il mercato delle “collaborations” in licenza da una decina di anni e, recentemente, ha creato un osservatorio che traccia trimestralmente le più innovative attività del genere in tutto il mondo. Tutte queste attività seguono una serie di pattern comuni e perseguono un obiettivo preciso: mantenere la rilevanza tramite frequenti associazioni ad altri brand o personaggi, che aggiungono nuovi livelli narrativi, diventando pretesti di comunicazione soprattutto sui social media, dove il traffico è particolarmente intenso e veloce.
Uno dei casi recenti più significativi di questo (strano) mondo, può essere Nike SB Dunk con i gelati Ben & Jerry’s. Edizione limitata di un paio di sneaker con scambio di loghi e media color, arricchita da confezioni speciali a forma di contenitore di gelato, annunciata “clandestinamente” sui siti di sneaker a marzo, comunicata ufficialmente a metà maggio, lanciata a fine maggio su e-store selezionati, esaurita in pochi giorni, ma riassortita a luglio. Tutti i punti della strategia “collabs”, compresa la scarsa disponibilità che aumenta il desiderio, sono stati toccati ed entrambi i marchi hanno raggiunto il risultato atteso: l’attenzione. Analizziamo invece il caso Coccolino by Moschino, prodotto lanciato a ottobre dell’anno scorso come limited edition, ancora oggi sugli scaffali (e destinato a rimanerci), comunicato sui social solo da Unilever con supporto di Condé Nast e Vanity Fair solo durante il lancio, con il concorso “Vinci un abbonamento a Vanity Fair e un volo a New York”. Bassa la reazione sui social a fronte di elevati investimenti, e soprattutto con un dubbio sulla reale connessione con Moschino: qual è la differenza tra questo e un normale lancio di nuovo prodotto, eseguito con consueta maestria da Unilever? Qui Moschino si limita a prestare nome, forma e profumazioni, sicuramente dietro congrua remunerazione.
Seguendo il marchio da molto tempo e avendo anche avuto l’onore di conoscerne il titolare, non credo però che i commenti di Opinion71 siano in linea con il profilo, la caratura e i valori distintivi Moschino. Il pericolo di diluizione della brand equity, dovuti a sovraesposizione o all’incoerenza nella comunicazione e nella distribuzione sono i problemi costantemente dietro l’angolo nelle attività di licenza e, alla luce di questi commenti, questa collaboration può sembrare pericolosa. E non è l’unica del genere: sempre Moschino, e poi anche Diesel si sono legati ai fazzoletti Tempo con la stessa massificazione; Etro, Just Cavalli, Love Moschino sono stati partner delle limited edition da centinaia di migliaia di bottiglie natalizie di Disaronno; mentre Lavazza ha utilizzato Cavalli, Etro, Marni, Missoni, Moschino e Versace per il lancio di Tierra. Il modello vincente in Italia sembra fermo agli anni ‘70 con i gadget “griffati” (da quanto tempo non utilizziamo questo termine?) da Roberta di Camerino o Ken Scott, nei fustini del detersivo, che si arricchirono in royalties, per poi perdere buona parte della brand equity.