Troppo spesso guardiamo solo al binomio produzione/vendita, senza prendere in considerazione la dimensione sociale e socializzante dei consumi. Eppure l’importanza della dimensione sociale è macroscopica. Lo vediamo sui social, dove il consumo è occasione per esprimersi, è dichiarazione di adesione al mondo di un brand, è partecipazione alla sua community, è anche tentativo di unicità (attraverso la personalizzazione creativa, la reinterpretazione di prodotti che le persone mostrano, per esempio, su Instagram), è richiesta di riconoscimento e d’inclusione (con relativa profusione di cuoricini e like). Cogliamo l’occasione del centenario della morte del sociologo ed economista Max Weber, avvenuta nel 1920 a causa della pandemia di Spagnola, per rivisitare la sua celebre espressione: “il consumo è agire sociale dotato di senso”. Ovvero quel che si acquista si utilizza e si esibisce (in modo più o meno ostentato): serve per comunicare, per relazionarsi, per dire qualcosa di sé. Oggi il consumo non è più solo fisico, giacché non si può prescinde né dalla quota di servizi immateriali inclusa in ogni prodotto, né dalle esperienze che ne derivano, né tanto meno dalla marca che lo firma (che con il suo patrimonio di codici valoriali, estetici, significati genera il linguaggio di cui le persone si servono per il proprio agire dotato, appunto, di senso e di scopo).
Nei primi decenni del ‘900 la sociologia studiava i comportamenti di consumo come via di differenziazione delle classi sociali. Dagli anni ’60, con lo sviluppo delle strategie di brand, i consumi vengono analizzati con l’approccio socioantropologico e con quello semiotico. La rivoluzione digitale ha prodotto nuove metriche che tentano di misurare, ma non spiegano comportamenti, motivazioni, preferenze, gusti. I big data vengono ridotti a data lake per poterli maneggiare, ma sono solo numeri raccolti da varie fonti e su cui il dubbio della loro capacità interpretativa e predittiva domina. A tenere una contabilità molto precisa dei consumi ci sono le promozioni. Calcolano di quanto si spostano a ogni campagna. Tuttavia la visione è ristretta al solo binomio produzione/vendita. Acquisto e consumo non possono più essere disgiunti dal loro lato sociale, comunicativo, relazionale. Il possesso di un bene o il godere di un servizio sono sempre meno legati alla ricerca di benefit pratici (ormai uniformati dai livelli di qualità raggiunti) e sempre più connessi alla richiesta di un supplemento di emozioni, di possibilità d’essere protagonisti, di esprimere la propria personalità in un contesto di socializzazione. Polo personale e polo sociale si attraggono. Le promozioni includono una componente relazionale, una comunicativa di brand, una esperienziale (d’intrattenimento, ma anche di apprendimento), una sociale condivisa online. E le misuriamo ancora soltanto sulle vendite? Impegniamoci a studiare metriche che esprimano tutto il valore delle promozioni.
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.