Far parte della Ue significa condividere la politica agricola comune e beneficiare dei fondi (ben 181,4 milioni di euro nel 2020) per la promozione dei prodotti agroalimentari. I progetti sono finanziati per attuare “azioni di informazione e di promozione riguardanti i prodotti agricoli, realizzate nel mercato interno e nei paesi terzi”. Azioni che possono essere messe in campo da organizzazioni, consorzi di produzione e da altri soggetti. Far conoscere e apprezzare fino agli antipodi il formaggio Raschera Dop, l’agnello di Sardegna Igp, il vino Lison Docg e via elencando centinaia e centinaia di eccellenze, genera solo di export, senza contare il consumo interno, un valore di 44,6 miliardi di euro (dato 2019). Dal conteggio tralasciamo i prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) inclusi in un apposito elenco, istituito dal ministero delle Politiche agricole, nonché le ricadute sul territorio in termini di turismo, giacché conoscere e apprezzare un prodotto alimentare si traduce spesso in una scelta di meta per le vacanze (per l’elenco completo dei prodotti tutelati si rimanda al sito www.politicheagricole.it).
Veniamo alle promozioni citate come scopo fondamentale di questi finanziamenti. Come sono attuate? Con qualsivoglia disciplina di comunicazione tranne che con le promozioni strutturate e creative. Basta dare una lettura ai bandi delle gare lanciate dai consorzi, che presidiano le produzioni protette da denominazione, per vedere come la preferenza cada sempre sulla pubblicità e su pochi interventi collaterali a questa, ma non si trovi traccia di campagne di promozione on/offline. Il che fa sorgere qualche interrogativo sulla effettiva conoscenza di questa disciplina di comunicazione fra chi, nei consorzi, formula i bandi.
Non è sufficiente la sola comunicazione pubblicitaria per far apprezzare le eccellenze alimentari del nostro territorio
Ci sono tanti studi che confermano il ruolo delle promozioni strutturate per trasformare obiettivi in risultati concreti quando bisogna guidare i consumatori alla scoperta e a renderli consapevoli dell’identità di un prodotto, aiutandoli anche nell’identificazione fra tanti. Poiché alla fine è di questo che si tratta: informare i consumatori e abilitarli a riconoscere il significato di una selva di simboli correlati al prodotto (marca del produttore, marchio del consorzio di riferimento, logo Ue della tipologia di denominazione), spingerli alla prova, suggerire occasioni di consumo e incrementare la domanda.
Una campagna di promozione può agire in sinergia con altre discipline di comunicazione, ma l’ultimo miglio, quello sul punto di vendita dove si concretizza la domanda, lo risolvono solo le promozioni. Quelle capaci di attivare l’interesse dei consumatori e di fornire motivazioni. Quelle che inducono in tentazione e convincono. Quelle che sanno intrattenere e persino divertire, informando correttamente. Quelle che, come nessun’altra disciplina e tecnica di comunicazione, sanno far fare esperienze dirette, sempre rilasciando un extra gain che, per questi prodotti, potrebbe portare benefici anche ai territori di origine.