Gli empori che propongono un assortimento ampio e profondo di oggettistica varia a prezzi percepiti come economici non sembrano patire reciproca concorrenza, ma erodono il mercato degli altri canali distributivi.
Ampiamente sottostimato, l’eterogeneo comparto dei cosiddetti bazar italiani rivela, al contrario, molti tratti interessanti di modelli di business, a loro modo, tutti disruptive. Chiariamo innanzitutto che cosa intendiamo con il termine bazar. Abbiamo definito in questo modo, in occasione del Cx Store Award 2021/22, quei formati di vendita che propongono un assortimento molto ampio e profondo di categorie solo in parte canalizzate dai grandi ipermercati, dai fai da te e dalle poche insegne specializzate moderne, operanti nell’oggettistica, nella cartoleria, l’arredo e il tessile per la casa, i piccoli elettrodomestici e il kitchenware, il giardinaggio ecc..
L’aspetto più interessante dei bazar è il modello di business disruptive che li distingue da altre realtà distributive.
Negli Usa questi store sono identificati con il termine “general merchandiser”, distinguendoli dalle altre insegne della distribuzione a catena. Quello fotografato dal Cx Store Award è un universo molto variegato con un buon numero di nuovi entranti, spesso aziende di provenienza orientale (Cina in primis) o che da quei mercati si riforniscono. In ogni caso, i diversi protagonisti di questo sviluppo cui la business community ha dedicato uno sguardo disattento, diffondono nel nostro paese una benefica deflazione strutturale, a tutto vantaggio di consumi familiari collocati più in alto nella scala maslowiana. Senza complicare il discorso, possiamo comunque dire che il fiorire di questi empori, come Risparmio Casa, Happy Casa, Aumai, Maury’s, nei vari hinterland delle città italiane è l’espressione immediata ed evidente della tanto citata globalizzazione dei commerci e della divisione internazionale del lavoro produttivo.
Come tale, il suo aspetto più interessante è il modello di business che li accomuna e li distingue da altre realtà distributive in base a questi tratti salienti: il fattore motivante la clientela costituito dall’acquisto d’impulso e non programmato; l’assortimento profondissimo che copre tanti piccoli bisogni latenti con soluzioni costituite da staple, gadget e piccoli accessori, materiali di consumo; prezzi percepiti come bassi (pur con margini percentualmente cospicui) rispetto a vaghi riferimenti di marca e di design; un’organizzazione degli spazi che induce all’esplorazione e alla ricerca attraverso un processo psicologico che collega l’acquisto principale motivo dell’entrata nel punto di vendita a una sequenza di “occasioni”; l’assenza di comparabilità tra l’offerta delle varie catene concorrenti. Sono queste tutte chiavi esplicative del fatto che chiunque sia entrato in un bazar ne è uscito con una serie di acquisti disparati, non programmati e una tantum che in grandissima parte non ripeterà. E questo, allo stato attuale, spiega il bassissimo tasso di competitività anche tra le insegne, che stanno crescendo numericamente e che stanno strutturando progressivamente un segmento di mercato. In breve, come avvenne nella prima fase dello sviluppo dei discount, la strategic posture più rilevante di ogni catena è: “location, location, location”.
Ogni città o cittadina nelle province italiane può reggere la presenza di un punto di vendita general merchandiser siffatto e questi aggregati urbani sono tanti. In realtà l’unico, vero competitor dei bazar potrebbero essere i cosiddetti dollar store, realtà estere e americane soprattutto, che tuttavia i retailer italiani faticano a concepire, rivelandosi per varie ragioni incapaci di gestirli profittevolmente. Un primo dato di estrema sintesi è costituito dalla risposta alla domanda posta a un panel di 3.030 responsabili d’acquisto per sapere se avevano avuto esperienze d’acquisto in uno o più bazar.
Dalle risposte emerge che la concorrenza tra insegne in questo comparto si configura in modo molto diverso da quella nel grocery, poiché l’overlapping tra concorrenti è tuttora molto basso. Ulteriormente i dati sintetici tratti dalla nostra ricerca possono essere letti incrociando le risposte date dagli intervistati in merito alle insegne frequentate. Emerge allora come la percentuale di clienti condivisi tra le diverse insegne prese in considerazione vari notevolmente da caso a caso e come ci sia talora una competizione asimmetrica tra i bazar rispetto al parco dei clienti disponibili.
Molti altri dettagli potrebbero essere aggiunti, ma in conclusione possiamo affermare che la crescita del comparto bazar procede celermente a scapito dei più diversi canali distributivi, riconducendo sotto l’approccio del general merchandising gli assortimenti più disparati atti a soddisfare consumi di minor rilevanza, ma molto legati alla funzionalità e all’impulso. Assisteremo pertanto a una corsa a occupare le numerose location disponibili sulle vie di grande scorrimento e nelle aree commerciali in via di ristrutturazione, con una concentrazione del giro d’affari da seguire con grande interesse.