La nuova ricerca dell’osservatorio fedeltà, che ha coinvolto brand e fornitori di servizi e prodotti per la loyalty, evidenzia le differenze strategiche tra chi possiede un programma loyalty e chi no. Generalizzata la necessità di fidelizzare e l’intenzione di aumentare gli investimenti in loyalty management e digital marketing.
Che relazione c’è tra loyalty management e digital marketing? Sono due strategie e due funzioni separate, in azienda? Si parlano, ma non lavorano in sinergia? Oppure l’azienda è riuscita a far collaborare le due “anime”, in modo da realizzare una vera organizzazione orientata al cliente, il che significa, con un paio di esempi concreti: prendono i dati di cliente dai touchpoint digitali e li integrano nel database clienti? Usano il database del crm per ottimizzare l’advertising su Google e su Facebook?
Il 50% delle aziende utilizza un programma fedeltà strutturato per la retention della clientela (il 60% nel b2c)
È una storia interessante quella del loyalty management e digital marketing e del loro rapporto: iniziata più o meno nello stesso periodo per entrambi – gli anni ’80 – e alimentata dalle crescenti possibilità degli elaboratori elettronici e delle reti, dalla nascita del web, delle piattaforme di ecommerce e social, fino all’arrivo dei device mobili. Inoltre, se 40 anni fa sia loyalty sia digital erano visti come “nice to have”, dei semplici tool per attuare le strategie di mass marketing, adesso sono protagonisti della strategia aziendale: la loyalty è diventata il principio guida delle strategie e il digital è il modo in cui l’azienda viene trasformata per poter rispondere meglio alle strategie orientate al cliente. Da tool a filosofia guida. Entrambi indispensabili, però ancora non integrati tra loro, e questo perché si sono sviluppati nelle aziende con le classiche logiche dei silo. Spesso una era già presente quando è arrivata l’altra: i retailer avevano già i programmi fedeltà quando hanno dovuto iniziare a integrare il digitale; gli ecommerce, nati digitali, avevano chiara la necessità di fidelizzare per essere profittevoli, ma non usavano il linguaggio del loyalty management e così via. Oggi non è più possibile tenere queste due anime separate in azienda, un tema che è stato affrontato dal Convegno annuale dell’Osservatorio Fedeltà del 15 ottobre nel corso del quale è stata presentata in anteprima una specifica ricerca.
L’indagine, svolta tramite questionario online tra agosto e settembre 2021, si è rivolta ai responsabili marketing, commerciali, crm e analisi cliente. Sono stati raccolti oltre 450 questionari. Una volta deduplicati e selezionati quelli completi, sono state considerate le risposte di 250 aziende, di cui 60% brand e 40% fornitori di servizi e prodotti per la loyalty. Con riferimento ai brand, l’80% del campione è rappresentato da aziende b2c, il restante opera nel b2b. Per quanto riguarda i settori del b2c, il 76% fa riferimento a industria e distribuzione, specificamente il 37% a industria di beni di largo consumo non durevoli (29%) e durevoli (8%), il 39% a retail, in particolare 24% retail grocery e 15% non food. Gli altri settori del campione sono: farmacie (4%), banche e assicurazioni (4%), turismo (4%), energia (3%), ristorazione (3%), telco e altri media (3%) e altro (3%).
Proseguendo la descrizione delle aziende rispondenti, la metà utilizza un programma fedeltà strutturato per la retention della clientela; un dato stabile da anni, che si attesta sul 60% delle aziende per il solo b2c. Inoltre, due aziende su tre (65%) vendono sia offline sia online, il 31% vende solo offline e infine il 4% vende solo online. Il b2c rispecchia decisamente questa ripartizione (68%, 28%, 4%), in linea con la ricerca dello scorso anno. Passando all’analisi delle risposte fornite al questionario, il primo elemento che colpisce è che è aumentata ancora l’importanza della fedeltà dei clienti come driver per ripartire dopo il Covid-19. Il voto medio d’importanza in una scala a 1 a 7 è passato da 5,3 a 5,6 rispetto all’indagine dello scorso anno.
Questa rinnovata attenzione per la loyalty si legge anche nelle previsioni d’investimento per il 2022: il 66% delle aziende aumenterà gli investimenti in loyalty e crm, il 31% li manterrà invariati, mentre il 3% prevede una diminuzione. Ciò a fronte di “solo” un 50% di aziende che aumenterà il budget di marketing e comunicazione e di un 44% che lo manterrà invariato. Alla medesima domanda, lo scorso anno il 22% di aziende rispondeva di prevedere una riduzione degli investimenti in loyalty e crm per l’anno in corso, e il 12% per quello successivo: oggi, come già indicato, solo il 3% prevede una riduzione nel 2022.
Quali sono le priorità strategiche, in ambito loyalty e digital, sulle quali convergeranno gli investimenti? L’engagement dei clienti figura al primo posto per tutte le tipologie di aziende. Quando però esploriamo le altre priorità strategiche, emerge che sono fenomeni diversi a preoccupare le aziende che hanno uno strumento di relazione formalizzato con la clientela (programma loyalty/ club clienti) e quelle che invece non lo hanno (nel nostro campione comprendono molti brand del largo consumo). Nel primo caso, quando già si ha una customer base identificata con la quale relazionarsi, le priorità diventano “creare un’esperienza omnicanale, personalizzare e ridurre il churn”. Nel caso invece delle aziende che hanno un “go to market” basato più sul brand che non su strategie mirate sul cliente, le preoccupazioni sono la brand reputation e i concorrenti. Questi risultati mettono bene in luce come oggi nel mercato esista una maggioranza di aziende, in numerosi settori, soprattutto nei servizi, che ha oramai adottato strategie customer focused, che misurano la retention e lavorano in termini di experience, e altre aziende con approccio più tradizionale, centrato sul brand, tipicamente nell’industria dei beni di consumo.
Non stupisce che anche le misure di efficacia delle proprie strategie di fidelizzazione siano diverse, tra questi due grandi gruppi di aziende: senza un database clienti è naturale che ci si affidi a misure di vendite/fatturato o agli analytics del sito web per vedere se la propria brand strategy è efficace, mentre quanti hanno un database sono soliti affidarsi alla misura dei tassi di redemption delle iniziative. Come ogni anno abbiamo poi voluto mappare la capacità delle imprese di gestire la customer experience, ossia il customer experience management. Questo richiede: capacità di raccolta e integrazione dei dati tra touchpoint e fonti diverse, la generazione di insight, la condivisione verticale e orizzontale in azienda di tali insight, nonché l’utilizzo di modelli di segmentazione e approcci come la customer journey e le customer (o buyer) persona. Confrontando la percezione che i fornitori di prodotti e servizi per la loyalty (103 le aziende rispondenti) hanno riguardo a tali capacità delle aziende clienti, tra l’anno scorso e la rilevazione di quest’anno emerge una situazione sostanzialmente invariata, dove spicca solo un aumento della capacità d’integrare le informazioni provenienti da diversi touchpoint e funzioni aziendali. Potrebbero quindi esserci progressi più rapidi, ma sembra che si sia sulla strada giusta.
Con specifico riferimento alle capacità in ambito analytics, la situazione rispetto all’ultima rilevazione di due anni fa non è mutata: la prassi più diffusa è quella della realizzazione di analisi descrittive su dati di vendita, mentre gli approcci analitici più sofisticati sono appannaggio solo di poche aziende. Quando però si separa nuovamente il campione, nei due grandi gruppi di chi ha un programma loyalty e chi non ce l’ha, si vede una differenza significativa a favore dei primi: le aziende che realizzano modelli sofisticati a supporto della personalizzazione delle azioni loyalty e crm sono il 17%, quasi il doppio rispetto alla situazione nel secondo gruppo (9%). Come abbiamo scritto in apertura, la ricerca di quest’anno ha avuto anche un nuovo focus: studiare la relazione del loyalty management con il digital marketing. Le due funzioni, infatti, sono in parte concorrenti, in quanto si contendono il budget di marketing. Ed entrambe con un peso crescente negli anni, in relazione all’aumentata importanza che assumono per le strategie aziendali.
Rispetto al 2020, il budget per il digital marketing è aumentato nel 64% delle aziende, per il 22% è rimasto stabile, mentre per il 14% è diminuito.
Rispetto al 2020, il budget per il digital marketing è aumentato nel 64% delle aziende, per il 22% è rimasto stabile, mentre per il 14% è diminuito. Dell’aumento di quello per la loyalty abbiamo detto sopra. E se, invece di contendersi risorse, venissero orchestrati per rendere più efficaci i rispettivi obiettivi? Per esempio, quanto sono consapevoli i marketer che sta diventando sempre più difficile tracciare i consumatori online? Che le novità introdotte da Apple nel suo iOS 15 e in Apple mail rendono praticamente inutile il calcolo dell’open rate, permetteranno di generare indirizzi email casuali per iscriversi ai siti di ecommerce e social, e nasconderanno l’indirizzo ip dei vari device, proteggendo così la privacy degli utenti? La crescente difficoltà di tracciare i consumatori online, legata non solo a queste scelte di Apple ma anche all’uscita di Google dai cookie di terze parti annunciata per il 2023, dovrà portare per forza modifiche alle prassi per tracciare e seguire nuovi clienti.
Ecco cosa faranno i brand del b2c secondo la nostra indagine: il 66% delle aziende cercherà nuovi metodi per far registrare i consumatori; il 30% userà nuove tecnologie di targeting che potrebbero aggirare il problema; il 27% userà di più i social influencer; il 24% pensa che non cambierà le proprie strategie di marketing, mentre il 16% non ci ha ancora pensato. Un altro aspetto significativo dello spazio di miglioramento che esiste per coordinare loyalty e digital riguarda il dialogo tra il database clienti e le attività digital: solo il 7% delle aziende utilizza abitualmente i dati di cliente in database condividendoli con le piattaforme come Google, Facebook e Instagram per ottimizzare le campagne online, per esempio per cercare prospect simili ai propri client in database. Abbiamo poi voluto approfondire un tema di crescente rilevanza: gli strumenti di martech (marketing technology). Con questa espressione si intende l’insieme delle soluzioni software usate dai marketer per realizzare obiettivi di business e guidare l’innovazione di marketing in azienda. Riguardano i contenuti, la customer experience, l’advertising, il direct marketing, la gestione dei dati, degli analytics e delle attività di marketing.
È la prima volta che esploriamo come Osservatorio la relazione tra le strategie di fidelizzazione e l’impiego di questa ampia varietà di strumenti, che comprende: content marketing tool (cms, seo tool, landing page & A/B testing, content curation, cmp, digital asset management, lead magnet); rich media tool (video making, video marketing, podcasting, graphic design, interacti ve content); social media tool (social media management tool, social media monitoring tool, influencer marketing platform); marketing automation platform & tool (email marketing, mobile marketing, marketing automation); advertising platform & tool (sem, social media advertising, native advertising, programmatic advertising); sales enablement tool (crm, customer support, sales automation); data & analytics platform (dmp, cdp, web analytics, tag management, predictive analytics).
Emerge che questi strumenti sono presenti nella quasi totalità delle aziende. Per lo più si ritrovano una o due piattaforme (il 60% delle aziende ha uno o due tool), che assorbono meno del 10% del budget di marketing nella metà delle aziende rispondenti, anche se vi è un 28% che dedica al martech dal 10 al 30% del budget. Il modello di gestione prevalente (60% dei rispondenti) è quello di una governance interna e di una esternalizzazione della gestione operativa, mentre le soluzioni alternative sono presenti in egual misura (20% di gestione completamente esternalizzata e 20% di gestione interamente interna). La categoria più diffusa è rappresentata dai tool per la gestione e il monitoraggio dei social media e degli influencer; seguono gli strumenti per il content marketing e quelli di marketing automation. Da notare che gli strumenti per sem, social media advertising, native advertising, programmatic advertising sono presenti solo in un’azienda su 3, e i tool di analytics solo nel 16% delle imprese intervistate.
Ancora una volta, la presenza di una strategia formalizzata di loyalty program, oppure no, è correlata a una presenza diversa degli strumenti martech in azienda: la marketing automation è decisamente più presente, nel primo caso, per attivare le “campagne” sul database clienti, mentre chi persegue un approccio più “brand centric” non può fare a meno dei social media tool. Indicazioni utili per un confronto tra aziende che, pur adottando strategie diverse, vogliono essere sicure di non trascurare gli strumenti necessari all’efficacia sui touchpoint digitali. Nonché indicazioni, a nostro avviso, molto significative per i vendor, giacché questa è la prima fotografia – in questo dettaglio – della presenza delle diverse tipologie di tool nelle imprese che fanno loyalty. Per approfondire, vi invitiamo a seguire i white paper del convegno che l’Osservatorio pubblicherà nei prossimi mesi nonché, ovviamente, i prossimi articoli che dedicheremo al tema su Promotion.
Cristina Ziliani
È professore ordinario di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Loyalty marketing e Customer relationship management. Dal 1999 è responsabile dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma. È autrice di oltre 60 articoli scientifici e 5 libri sui temi del loyalty marketing e data driven marketing. Nel 2020 ha pubblicato con il collega Marco Ieva, per l'editore internazionale Routledge "Loyalty Management: from Loyalty Programs to Omnichannel Customer Experiences". www.osservatoriofedelta.it