Nonostante l’attrattiva del fast fashion e la convenienza on demand nel settore del retail, i consumatori iniziano a interrogarsi sull’impatto sociale e ambientale dei propri acquisti di moda. Snapchat ha realizzato uno studio denominato “Il futuro dello shopping”, condotto da Foresight Factory in dodici paesi a livello globale (Italia compresa), per fornire un quadro approfondito del panorama degli acquisti in questo momento critico, delineando uno spaccato delle propensioni dei consumatori e delle potenzialità che la tecnologia offre per indirizzare le sfide imposte dal cambiamento climatico.
Dallo studio emerge che il 43% dei consumatori italiani è già preoccupato per l’impatto ambientale dello shopping online – percentuale che arriva al 50% della Gen Z – e 1 acquirente su 5 afferma che le ragioni ambientali sono una motivazione per fare shopping sulle piattaforme di reselling.
In Italia le piattaforme di reselling – che consentono ai venditori di creare i propri negozi virtuali e di presentare collezioni uniche, promuovendo anche un’esperienza di shopping più social con messaggi diretti e scambi tra acquirente e venditore – stanno diventando sempre più popolari: basti pensare che il 25% dei consumatori afferma di cercare regolarmente opzioni di seconda mano e il 42% che ha comprato qualcosa attraverso una piattaforma di reselling, percentuale che arriva al 53% tra i millennial. Inoltre, il 34% dei consumatori italiani della Gen Z ha anche venduto un prodotto tramite tali piattaforme, con un ulteriore 43% interessato a farlo in futuro.
Tra le motivazioni che spingono gli shopper a fare acquisti su tali piattaforme vi è in primo luogo la convenienza (54%), seguita dalla possibilità di trovare prodotti che sono andati esauriti altrove (33%) e dalla ricerca di pezzi unici (30%).
I beni di seconda mano e le piattaforme di reselling non vengono percepiti in modo negativo e permettono agli acquirenti esperti di risparmiare denaro e di contribuire all’economia circolare. Inoltre, l’uso crescente di tali piattaforme fornisce opportunità ai retailer consolidati di generare nuovi flussi di reddito attraverso piattaforme raccomandate dai brand, così come alle pmi e ai singoli consumatori di generare un reddito supplementare da articoli che sono stati rivenduti.
Ci sono alcuni settori in particolare in cui cercare opzioni di seconda mano quando si fanno acquisti rappresenta una abitudine consolidata per i consumatori italiani: automobili (30%), tecnologia (24%) e abbigliamento (23%). Alcuni cercano sempre prima le opzioni di usato, con abbigliamento (11%), automobili (10%) e articoli di lusso e accessori (entrambi a 9%) a farla da padroni.
Un’altra leva a cui il retail potrebbe guardare per ridurre l’impatto ambientale dello shopping è quella dell’impiego della realtà aumentata e del try-on virtuale, due tecnologie che aspirano a far superare uno dei problemi principali legati al commercio elettronico, ovvero gli errori di taglia, che rappresentano oltre due quinti (43%) dei resi di capi di abbigliamento acquistati online nell’ultimo anno in Italia. Ma non solo: l’impossibilità di provare i prodotti prima di acquistarli rappresenta una criticità per oltre 2 intervistati su 5 (42%).
In risposta a queste complessità che contribuiscono a nutrire la pratica dei resi, generando implicitamente dei costi per i retailer e per l’ambiente, il valore aggiunto che i consumatori italiani vedono nell’ar risiede in primis nella possibilità di vedere come starebbero i prodotti (37%), vederli a 360° (34%) e capirne la dimensione esatta (34%). Segue, nel caso di complementi d’arredo, la possibilità di visualizzare i prodotti all’interno dell’ambiente prescelto (28%).