Le persone possono davvero impegnarsi in un eterno fidanzamento con la marca d’industria o con la catena distributiva? Può la marca avere una capacità seduttiva di lunga durata? La risposta è negativa in entrambi i casi per via dell’entropia, innescata da varie cause e concause, che pone fine alla relazione fra le persone e le marche (talvolta in modo netto, talaltra dopo una lunga agonia). Appunto la relazione è l’humus che nutre la marca, è il terreno su cui avviene l’esperienza, prende forma la fiducia, si innesta l’impegno, si stabilizza la preferenza e la fedeltà.
La relazione altruistica apre al coinvolgimento profondo di sentimenti, affettività, emozioni, dedizione che innescano la reciprocità
Non si può prescindere dalla relazione multidimensionale delle persone con la marca, ma anche con il prodotto/servizio, con l’azienda, con i suoi touchpoint fisici e virtuali. È nell’alveo della relazione che avvengono scambi comunicativi. Ma di che relazione parliamo? Gli studi sul concetto di relazione hanno individuato due macro tipologie: opportunistica (in cui lo scambio è basato su transazioni commerciali, una relazione di potere solo nelle mani dell’azienda ed esercitata attraverso un sistema premiante che condiziona alcuni comportamenti) o altruistica (dove il “dare” non aspetta un “ricevere”, vi è reciproca e incondizionata volontà di cooperare). Sono pure stati definiti i parametri per misurare e valutare le due tipologie. Quel che purtroppo risulta nella realtà è quasi sempre il ponte levatoio alzato dall’azienda, una comunicazione ossessivamente push, ovvero assenza di dialogo.
Nonostante le aziende dichiarino che le loro marche mettono al centro le persone, quel che si riscontra è la volontà di tenerle il più a lungo possibile locked-in. Si tratta di una tipica relazione opportunistica che nasconde all’azienda la vera conoscenza dei clienti, premessa per l’entropia. Le persone come reagiscono? L’indifferenza, il disinteresse, la svogliatezza sono sistemi di difesa insieme alla curiosità e alla voglia di cambiare spesso. Da un lato troviamo l’azienda (e il suo sembiante, ossia la marca) che propone solo relazioni condizionate da scambi monetari (o compensati da un sistema premiante) e dall’altro vediamo le persone riluttanti a farsi “ingaggiare” (e non da ultimo a rilasciare i propri dati).
Dunque in mancanza di relazioni vere, che sorte possono avere promozioni e loyalty? L’impressione è che il terreno si sia fatto friabile. Si continua ad avere una concezione molto superficiale e meccanicistica di relazione. Così l’engagement è svilito a livello di solo comportamento costrittivo e noiosamente ripetitivo. Si sta ignorando che la relazione altruistica apre al coinvolgimento profondo di sentimenti, affettività, emozioni, dedizione che innescano la reciprocità, dimensione del sentire umano ancora ignorata. Le persone esprimono la reciprocità sia mostrando goodwill (ossia benevolenza e gratitudine) sia offrendo referral, le raccomandazioni che consentono alle aziende di costruire ulteriori relazioni per affinità. Senza reciprocità in loyalty e promozioni la marca sarà in balìa degli scambisti.