Il journey più che un viaggio è una spedizione di scoperta. Per ora teniamo il termine inglese customer nel significato di acquirente di prodotti e servizi, che ha assunto oggi, dopo innumerevoli passaggi dal latino all’Europa medioevale e oltre.
Essere un customer significa fare acquisti minuti di tutti i giorni tanto quanto quelli più importanti (auto, casa, prodotti finanziari). L’umano nella veste di customer è stato studiato da tante diverse angolature almeno dalla fine dell’800. Con il progredire della tecnologia informatica, con acquisti e pagamenti online, con soluzioni di tracciamento che segnalano i passaggi attraverso touchpoint sembrerebbe possibile dar conto di tutte le tappe del viaggio e di tutte le azioni prima, durante e dopo l’acquisto. In realtà è un’illusione, non certo per via dei limiti imposti dalla normativa sulla privacy.
Il cliente è conosciuto solo dalle singole aziende con cui si relaziona e per quel poco che possono cogliere
Il vero problema è che questi dati ci sono, ma sono di “proprietà” di una infinità di soggetti che mai e poi mai li condivideranno. I dati raccolti dalla gdo sono ignoti all’industria di marca e viceversa. Comunque il nostro dinamico customer non acquista solo beni di largo consumo, quel che fa dei suoi risparmi è noto alla sua banca e così via per tutto quel che compra in contanti, con carta di credito e con quei foglietti stretti e lunghi che si chiamano assegni. In pratica il customer è conosciuto solo dalle singole aziende con cui si relaziona e per quel poco che possono cogliere. Così il design thinking ha sviluppato varie tecniche per cercare di mappare il viaggio del cliente, ma con l’accortezza di non fare generalizzazioni. Ossia quel che si può conoscere è specifico e proprio di ogni azienda, di un suo brand, di un suo punto di vendita, di una sua azione promozionale. Si tratta di tecniche che considerano in profondità il comportamento, le esperienze e il pensiero della persona nei confronti di un prodotto/ servizio, di una marca e altri elementi correlati.
La mappa che è possibile tracciare tiene conto di un percorso effettivamente lungo e tortuoso: dalla ricerca delle informazioni, all’individuazione del prodotto desiderato, all’esame delle varianti, alle esperienze positive/ negative nell’atto di acquisto, a quel che viene dopo che potrebbe richiedere altri touchpoint e soluzioni per garantire la fruizione del prodotto, lo smaltimento e risolvere problemi di percorso. La mappa del customer journey è veramente adatta a quelle aziende che considerano le persone i loro migliori alleati poiché dalle loro azioni e sensazioni traggono informazioni preziose, invece di accontentarsi di un atto di vendita. Sottesa alla mappa del customer journey vi è oggi una ragione veramente importante: l’impatto ambientale nonché la messa al bando dell’effimero, delle brutte copie, dell’inutile. È una condizione che obbliga le aziende a creare prodotti duraturi, performanti, sicuri. Prodotti che per essere tali hanno bisogno della collaborazione di chi li acquista e utilizza e, con l’esperienza, rilascia informazioni preziose.