Da commodity a prodotto branded il percorso è stato lunghissimo per frutta e verdura. L’inversione di marcia, che ha segnato il passaggio da prodotto anonimo a prodotto di marca, contraddistinto da un’etichetta, risale solo a pochi decenni fa. Bisogna aspettare l’inizio degli anni ’90 per un ulteriore passo avanti sulla strada della brandizzazione, quando l’Unione Europea ha emanato i primi regolamenti relativi ai prodotti ortofrutticoli e cereali a marchio Dop e Igp. Da allora l’Italia è riuscita a registrare 170 prodotti agroalimentari Dop e 139 Igp (e altri si aggiungeranno).
Le attività di branding e valorizzazione dell’ortofrutta sembrano vanificate dal layout espositivo concepito per il libero servizio
Dietro a questi marchi ci sono consorzi di tutela e ci sono aziende agricole, centinaia di soggetti che hanno modernizzato il settore dando avvio anche a un altro fenomeno: il convenience. Ossia numerose aziende agroalimentari sono riuscite a integrare l’offerta di derrate sfuse (o con un primo confezionamento per pezzatura) con la trasformazione, definendo ben cinque diverse gamme di frutta e verdura pronta per l’uso, contraddistinta da un marchio industriale o dell’insegna distributiva. Un’innovazione che ha visto, in parallelo, i progressi di macchine made in Italy che realizzano tante e diverse fasi di lavorazione secondo appunto la gamma di riferimento.
Brandizzazione dell’ortofrutta e creazione di referenze convenience hanno richiesto ingenti investimenti in comunicazione (advertising, campagne di promozione e, prima del Covid, anche attività con promoter con invito alla prova) per aiutare i consumatori a conoscere e preferire tali prodotti. Molte delle campagne di comunicazione hanno visto come protagonisti anche i territori di provenienza delle derrate, così da creare un circuito integrato che lega turismo, natura e tipicità agroalimentare. L’ascesa dell’ortofrutta nella dieta quotidiana è stata promossa anche dalla comunicazione pubblica che ha incentivato il consumo di queste referenze per finalità salutistiche. Sulla strada della brandizzazione e del convenience troviamo pure il contributo dato dal packaging con innovativi materiali, funzionalità inedite, possibilità di prolungamento della shelflife. In pratica fra ortofrutta a marchio e prodotti agroalimentari lavorati e confezionati si è arrivati a strutturare un’offerta ampia e in linea con l’identità profonda della gdo, definibile appunto come “shopping hub” delle merci confezionate.
Tutto questo è stato sconvolto dal ribaltamento del layout dei pdv, che oggi vede l’offerta di frutta e verdura sfusa subito all’inizio del percorso di shopping, collocata in cassette giustapposte le une alle altre, ma lasciate senza contenuti informativi per aiutare una scelta consapevole. L’identità di marca, in particolare di referenze Dop e Igp, sembra vanificata dal layout espositivo pensato per facilitare il libero servizio, ma che appare fin troppo asettico e privo di stimoli. Un passo indietro, una forma di commodization che stride con le attività (e gli investimenti) e con il convenience ormai molto avanzato.