La rigidità del mercato del lavoro in Italia richiede qualche considerazione prima di parlare di engagement dei dipendenti. Se per i giovani è difficile entrare nel mondo del lavoro è altrettanto arduo per chi è già in carriera cambiare azienda o posizione lavorativa. Molti restano in azienda per mancanza di alternative, generando quindi disaffezione, perfino malessere fisico. Un segnale è la richiesta di continuare lo smart working pur di non andare in ufficio e doversi relazionare con altri colleghi. Il quadro complessivo richiederebbe interventi strutturali, ossia il passaggio dal parlare dei grandi temi (fra cui ambienti di lavoro più gradevoli, ore di lavoro da gestire in chiave di bilanciamento con la vita privata, pari opportunità di carriera e stipendio, inclusione e molto altro) al renderli concretamente realizzati e fruibili per tutti i dipendenti.
Le aziende di grandi dimensioni sono già sulla via di un radicale cambiamento; tuttavia va considerato che in Italia l’ossatura imprenditoriale è composta da circa quattro milioni di pmi (fra quelle industriali, commerciali, impegnate in agricoltura, nei servizi ecc.). Sono necessari quindi piccoli passi che potrebbero iniziare con le tecniche di employee engagement. Queste però non devono essere mirate solo all’aumento della produttività (spesso misurata in modo asettico con gli indicatori di Glassdoor o di Uwes&Gallup) o al contrasto dell’assenteismo, ma devono invece andare nella direzione di un empowerment effettivo che incrementi la capacità di ognuno nel contribuire al successo dell’azienda, ne riconosca i meriti, mettendo anche ciascun dipendente in grado di integrarsi al meglio, di scambiare conoscenze e competenze, d’essere d’aiuto ai colleghi nell’individuare soluzioni per lavorare in modo più armonico, di diventare un naturale e spontaneo paladino dell’azienda, del suo sistema di valori e della sua offerta. Una prima fase di employee engagement potrebbe passare attraverso la formazione continua che trova un alleato nella gamification e nei sistemi di simulazione del tipo Sandbox – un campo prove in cui si procede per tentativi e proposte – che richiedono di assumere un ruolo attivo. Sono soluzioni che necessitano di un impegno sentito da parte dei partecipanti; il reward è composto sia dall’apprezzamento personale pubblicamente manifestato sia dall’assegnazione di soluzioni di welfare e di benefit su misura. Ricompense che gratificano e fanno scattare la molla della motivazione.
Il coinvolgimento emotivo deve andare di pari passo con il proprio contributo di mind e di skill, soprattutto quando l’azienda cerca d’impiantare nuovi modelli organizzativi: ogni dipendente deve diventare protagonista in una sana competizione non tanto basata su punteggi e graduatorie, ma sulla qualità del contributo dato. È francamente deprimente vedere aziende che intendono l’employee engagement come modalità che fa dei dipendenti solo dei brand ambassador che lanciano e rilanciano inutili post sui social.
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.