L’Italia esce dal secondo trimestre con un’economia che rallenta. A pesare sono ancora fattori come l’inflazione e i salari che non tengono il passo, spingendo i consumatori a modificare le abitudini di spesa. In questo contesto la gestione dei prezzi e delle promozioni rappresenta la bussola per la gdo. Ma è attività tra le più complesse: richiede di definire i prezzi di vendita prediligendo il percepito di convenienza dei clienti, determinato a sua volta dal percepito dei prezzi di pochi prodotti. Dunque? Sempre più occorre ricorrere alla scienza dei dati per definire quali sono i prodotti più sensibili, quelli con la maggiore elasticità al prezzo e orientare adeguatamente gli investimenti di margine. È quanto suggerisce da tempo anche sulle pagine di questa rivista Marco Metti, business development manager di Dunnhumby Italia, società del gruppo Tesco specializzata nella customer data science applicata al business del retailing, che opera con quasi 80 insegne in 25 paesi (dal 2008 anche in Italia dove ha messo in atto importanti progetti di ottimizzazione delle performance di customer engagement, insight monetization e retail media con primarie insegne della distribuzione moderna).
L’inflazione influenza il prezzo percepito in modi diversi, e l’impatto complessivo non è lo stesso in tutte le categorie.
Marco Metti: Vero! In alcune categorie, infatti, assistiamo per esempio a una crescita continua dei prodotti premium, che controbilancia il trend generale di downtrading che si manifesta altrove. Il contesto della categoria è molto importante. Occorre investire in data science per conoscere i clienti in modo approfondito e quindi calcolare la loro sensibilità alle variazioni di prezzo dei differenti prodotti, evidenziandone gli indici di elasticità diretta e incrociata. Si tratta in definitiva di raccogliere informazioni utili ad applicare variazioni di prezzo, mirate sulle categorie e sui prodotti che contribuiscono maggiormente a determinare la percezione di convenienza da parte dei clienti. Capire, percepire prima ciò che i clienti vogliono e saper reagire in modo tempestivo ha fatto e farà la differenza.
E qui si gioca la competizione tra insegne…
Marco Metti: Negli anni ’70 si diceva vado fare la spesa al supermercato, oggi è più ricorrente citare l’insegna del punto di vendita. È evidente che nel tempo la grande distribuzione ha saputo modulare l’offerta, il servizio, il formato del negozio. Non esistono regole auree su come perseguire l’unicità, tuttavia un buon consiglio è quello di focalizzarsi sul comportamento di acquisto dei clienti per prepararsi ai cambiamenti.
Lo stesso approccio può essere focalizzato sulle promozioni per consentire di avere la consapevolezza sugli effetti marginali che queste determinano?
Marco Metti: Non tutte le promozioni comportano vendite e/o margine incrementale. Grazie alla scienza dei dati è possibile determinare quale meccanismo promozionale è più efficace, quale sconto è più funzionale rispetto alle differenti categorie e ai prodotti e soprattutto qual è la sensibilità di ciascun cliente alle promozioni, per definire efficaci iniziative one to one in alternativa alle promozioni di massa. Grazie ai dati è quindi possibile avere un quadro unico tra prezzi e promozioni, una conoscenza capace di determinare scelte aziendali più efficaci ed efficienti.
La scienza dei dati guida anche la gestione degli assortimenti?
Marco Metti: L’assortimento determina la scelta del punto di vendita in cui fare la spesa: è dunque un fattore fondamentale. E critico. Rispetto alle leve tradizionali del marketing, come promozioni, prezzo e comunicazione, ha infatti bisogno di un approccio più attento perché gli effetti si osservano in un periodo più lungo. La sensibilità del category o del buyer non è più sufficiente: occorre un approccio più analitico capace di dare più sostanza alle percezioni. Scelte sbagliate nell’ambito dell’assortimento generano conseguenze negative sulla fedeltà dei clienti, e quindi sulle vendite e sul margine.
E torniamo alla data science…
Marco Metti:… Sì perché consente di conoscere meglio le performance dei prodotti e calcolare efficacemente la percentuale di sostituibilità tra i prodotti stessi. Da una bottiglia da 1,5 litri di bibita a una di 2 litri cosa cambia? Conviene tenere entrambe le proposte? Incrociando i dati di acquisto, sarà chiaro quale scelta fare per ottimizzare l’assortimento ed evitare sprechi (di spazio soprattutto) e inefficienze di vendita. Grazie alla scienza dei dati oggi è dunque possibile conoscere esattamente le performance dei prodotti tenendo presente le scelte dei migliori clienti. Si è così capaci di costruire l’albero decisionale dei clienti per categoria grazie al calcolo dell’indice di sostituibilità dei prodotti, e avere così una raccomandazione finale di assortimento che tiene conto soprattutto della copertura dei bisogni. Insomma un approccio fondato sull’analisi del comportamento dei clienti consente di coniugare la copertura della maggior parte delle esigenze con la definizione della corretta esposizione del prodotto per evitare rotture di stock.
Per altro su uno scaffale in costante carenza di spazio per l’arrivo di nuove marche o per l’ampliamento degli assortimenti.
Marco Metti: Senza contare il ruolo che sta giocando la marca del distributore, spesso capace di fagocitare anche il prodotto a marchio commerciale proprio per quell’insieme di “soft skills” nascoste che oggi, agli occhi del consumatore, è in grado di trasmettere. Le insegne lo sanno e investono su questo segmento. Ma quale prodotto a marchio sviluppare: premium, main stream? Il peso dei primi prezzi deve essere lo stesso per tutte le categorie? Domande queste, che un category manager si pone quotidianamente e al quale Dunnhumby sa rispondere grazie a specifici tool che consentono di personalizzare l’assortimento anche per ogni punto di vendita, migliorare il know how dei category, perfezionando la sua cultura dell’assortimento sempre più necessaria per determinare la distintività dell’insegna.
Come ha fatto Tesco…
Marco Metti:… Che in 10 mesi ha rivisto 183 assortimenti generando più di 2.000 proposte assortimentali. I risultati sono stati sorprendenti: si sono ridotti gli assortimenti di circa il 18% di prodotti e sono migliorati i volumi di vendita dell’1,4% e le vendite like for like mediamente del 2%. Insomma, senza misurazioni accurate su ciò che accade non è possibile progredire. È il momento del “valore”, di una nuova generazione e misurazione del valore.
Come si inscrive in questa prospettiva il retail media?
Marco Metti: La matrice da cui origina è la stessa della gestione dei prezzi o dell’assortimento, ovvero la conoscenza dei clienti. Il retail media si fonda infatti sulla capacità di personalizzare le comunicazioni e quindi sulla scienza dei dati applicata al comportamento di acquisto e all’interazione dei clienti con l’insegna. Negli Usa è ormai affermato e genera ricavi e profitti molto rilevanti. E lo stesso si può dire ormai per Uk e Francia, dove molti retailer hanno lanciato piattaforme avanzate per interagire con i clienti in modo personalizzato, offrendo loro un’esperienza, un’offerta di valore perché contestuale ed esclusiva.
Un’opportunità unica nell’epoca dell’economia dell’attenzione.
Marco Metti: Il retail media è proprio questo: coglie l’attenzione dei clienti con l’offerta di una comunicazione personalizzata e utile. La conoscenza clienti è condizione necessaria ma la peculiarità del retail media, che ne decreta il successo, sta soprattutto nella capacità di interagire con i clienti rispettando il contesto e nella capacità di analizzare le reazioni con tempestività, permettendo correzioni e aggiustamenti in tempo reale per determinare il risultato atteso. L’approccio al retail media è vincente per il cliente, per gli inserzionisti, ovvero i brand che grazie a questo media possono comunicare in modo più efficace, e per i retailer, perché non solo generano ricavi extra da questa attività, ma grazie alle comunicazioni personalizzate si assicurano la fiducia, la fedeltà e gli acquisti dei clienti. Dall’analisi dei progetti realizzati negli ultimi 5 anni da Dunnhumby mediamente i retailer che utilizzano il retail media hanno generato ricavi extra tra lo 0,3% e lo 0,5% delle loro vendite totali. Percentuali piccole che significano però ricavi in valore assoluto importanti anche perché correlati a marginalità molto elevate. Una grande opportunità da non perdere, alla portata di tutti i retailer che credono nella conoscenza dei clienti e che si relazionano con loro in modo personalizzato, coinvolgendo i migliori brand e migliorando i loro ricavi e profitti.
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.