Possiamo etichettare la fedeltà alla marca come una scorciatoia per poter fare scelte affidabili, velocemente? In parte è così, quando si tratta di una fedeltà che passa attraverso esperienze convincenti, che vanno a formare una sorta di griglia di riferimento per guidare le decisioni di acquisto.
Si è calcolato che, per ogni categoria di beni sia di largo consumo sia durevoli, la scelta oscilla fra almeno 4/6 marche ritenute equivalenti per qualità intrinseca, prestazioni, sicurezza, prezzo. Nel mondo dei servizi, dopo il vorticoso cambio di fornitori, quando fu messa la parola fine a privilegi di monopolio (telecomunicazione ecc.), l’adozione sempre più estesa di schemi di loyalty (banche, assicurazioni, vettori di trasporto e molti altri settori) ha equilibrato il sistema: da un lato si gratifica l’utente con reward, dall’altro le aziende si procurano una massa di dati indispensabili per il miglioramento continuo.
Le insegne del retail (gdo, distributori di carburanti, catene di profumerie, pizzerie ecc.) sono soggette a una fedeltà opportunistica che tende a essere spalmata (ogni consumatore ha come minimo 4 carte fedeltà nel portafoglio). Si configurano dunque situazioni diverse, a seconda dei settori, in cui la fedeltà assume sfaccettature differenti. Non sempre le persone sono disposte ad ancorare la fedeltà a un brand e rimanerne “devote” seguaci. Le tentazioni sono molte, le occasioni si moltiplicano e destabilizzano i buoni propositi.
Diviene quindi indispensabile capire cosa significhi veramente fedeltà. Se ben oltre un secolo fa la fedeltà veniva considerata in modo meccanicistico come “acquisto ripetuto della stessa marca”, oppure come “frequentazione continuativa dello stesso punto di vendita”, oggi la dottrina ne distingue due macrotipologie con in mezzo infinite sfumature: la behavioral loyalty (di tipo comportamentale, la più diffusa e universalmente profusa) e l’attitudinal loyalty (che è rara e ha caratteristiche particolari determinate dal fatto che le persone si rispecchiano e si identificano con la proposizione, i valori, lo stile di una e una sola marca e da questa ricevono una sorta di investitura, un “sigillo” che possono mostrare nelle relazioni sociali).
Comunque, sia si tratti di behavioral o attitudinal loyalty, la fiducia diviene il vero fattore scatenante della fedeltà. Possono aver giocato un ruolo di innesco precursori allettanti (come campagne di comunicazione e di promozione), ma oggi le persone non guardano solo
a prodotti e servizi, alla notorietà del brand. Le persone prendono in considerazione l’azienda nel suo complesso (capacità di mantenere promesse, di ascoltare e rispondere, d’innovare, d’essere etica e sostenibile).
Gli antagonisti alla loyalty non sono le campagne della concorrenza e nemmeno le operazioni “cogli l’attimo” (come un folle sottocosto), ma l’ignorare il tipo di loyalty dei propri clienti. In pratica, c’è una fedeltà conformata su ogni cliente, che va compresa per poter definire strategie efficaci.