All’inseguimento dei consumatori

Sembra non si riesca a uscire dalla comunicazione push, quella che spinge i clienti lungo un ipotetico funnel dopo averli raggiunti, con mira da cecchino, usando messaggi irresistibili. Poi è tutto un accumulare ed esaminare dati, pur con la nobile intenzione di conoscere meglio chi si deve servire con prodotti adeguati e con canali e soluzioni di vendita gratificanti. All’inesorabile precisione del digital marketing e della comunicazione che su questo si conforma, e alle iniziative di loyalty basate su milioni di fidelity card, oggi si aggiungono l’intelligenza artificiale generativa e il retail media.

Cresce dunque l’arsenale degli strumenti e delle soluzioni per promettere agli operatori del mercato brillantezza di risultati, sempre però nell’ottica push. Ma siamo certi che le persone che entrano nei punti di vendita e quelle che comprano online (talvolta le stesse) siano disponibili ad accettare d’essere spinte, siano pronte cioè ad assecondare le pressanti proposte delle aziende? Si presume che le persone siano sempre iperconnesse, interessate a leggere messaggi promozionali, ad attivarsi per compiere un acquisto, ma è realistico continuare a pensare così? Già si cominciano a vedere campagne di aziende di marca che invitano a disconnettersi per beneficiare del prodotto, tour operator che propongono di esplorare località che non hanno copertura telefonica.

Se guardiamo al largo consumo, la stragrande maggioranza dei beni sono intercambiabili, poiché i prodotti si ritengono sostituibili avendo prestazioni ormai omogenee, e la comunicazione sposta sempre meno le decisioni, che seguono la logica di riacquisti valutando la convenienza del momento. Nel comparto freschi le persone prestano attenzione poiché la responsabilità della scelta dipende dalla capacità di valutazione del prodotto fra quelli disponibili e dall’aver stabilito una buona programmazione di utilizzo prima della scadenza. Al banco servito si rivolgono invece in cerca di consigli. La tendenza è quella di evitare sprechi sia riducendo il numero di articoli da acquistare sia gestendo sempre meglio il fabbisogno reale (rifiutando quindi le sollecitazioni a comprare di più). La pressione esercitata dalla comunicazione push fino a che punto sarà ancora tollerata? Già abbiamo visto le limitazioni per il telemarketing selvaggio… Le nuove tecnologie stendono una rete di sensori da cui non sfugge nessuna mossa delle persone durante l’iter di acquisto, uso, esibizione, condivisione di prodotti e servizi. La quantità di messaggi che si riceve attraverso strumenti on/offline è ormai spropositata rispetto a ogni singola compera (il cui valore unitario è per giunta sempre più basso). Il fatto che sembrino messaggi precisi perché l’algoritmo sa di cosa ci riforniamo abitualmente è visto dal consumatore come un servizio o come qualcosa di inquietante? Ogni insegna conosce i propri clienti per quel che fanno con ciascuna di loro; ergo i database sono parziali e per ora non rilevano emozioni, ma nemmeno ragioni. È un buon segno?

Andrea Demodena

Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.