No trust no loyalty la fiducia al centro

Marilde Motta10/12/2024
Couple at supermarket

Ogni tanto succede e quando accade è davvero un momento proficuo per tutti coloro che sono impegnati nel marketing. La ricerca “Loyalty Promotion Monitor” promossa dal Channel & Retail Lab di Sda Bocconi, guidato da Sandro Castaldo, professore ordinario di marketing dell’ateneo, in collaborazione con l’agenzia di loyalty Tcc, si configura come un modello di action research che, oltre a fornire i dati della ricerca, genera una conoscenza sistemica per il settore.

Il libro “La fedeltà del cliente”, edito da Egea, raccoglie i dati dell’indagine ed è ricco di molti approfondimenti sulla loyalty così che il sottotitolo può giustamente affermare “teoria, misurazione e gestione” nell’intento di dare un contributo concreto a quanti operano nel retail, in particolare nella gdo, e nell’industria di marca.

La loyalty dunque. Un costrutto molto complesso a cui Sandro Castaldo aveva già dedicato studi, in particolare quello realizzato nel 2002, in collaborazione con Bruno Busacca, dal titolo “Trust in market relationship: an interpretative model” in cui si sottolineava il ruolo della fiducia come fondamentale precursore della relazione con la marca o con l’azienda. Una fiducia che ha aspetti tangibili e intangibili ed è l’altra faccia della soddisfazione del cliente, dove retention rate e customer satisfaction si legano per costruire il customer life-time value.

Nello studio del 2002 si definiva “trust is the cognitive dimension of customer loyalty” e anche il volume “La fedeltà del cliente” si apre con un doveroso approfondimento sulla fiducia, quella di tipo cognitivo basata su esperienza, conoscenza, soddisfazione. Una disamina che suona come un monito alle aziende: il consumatore si informa, apprende, valuta, sceglie ed esige. Il consumatore sa e decide e modula i propri comportamenti di conseguenza e per dare la propria fiducia alla marca e/o all’insegna compie un percorso che è sempre soggetto a verifiche e quindi a eventuali ripensamenti.

La fiducia è una partita che si gioca fra tre soggetti: un consumatore sempre più tentato e talvolta disorientato da proposte, ma anche allettato da iniziative di convenienza e distratto da una conflittualità di messaggi che lo raggiungono on/ offline; i canali di approvvigionamento che si moltiplicano; le aziende di marca che continuano a investire nella diversificazione delle referenze.

Le ricerche. Il Loyalty Promotion Monitor di Sda Bocconi ha svolto sia un’analisi di scenario (da cui emergono risultati già presenti in altre ricerche recenti come: la propensione dei consumatori a rivedere i consumi e cercare soluzioni di risparmio, o di razionale rapporto qualità/ prezzo, maggiore attenzione per salute e benessere, sensibilità ma anche preoccupazione per i temi della sostenibilità sociale e ambientale, richiesta di servizi e prodotti personalizzati che diventa desiderio di essere ascoltati e coinvolti nella loro co-creazione, bisogno di socialità person-to-person nei punti di vendita fisici e di socialità in senso lato negli ambienti digitali) sia una duplice indagine, prima su un campione di 19 manager di alto profilo nel settore retail poi su un campione di 36 manager anch’essi in posizioni di vertice per le aree di marketing, crm, loyalty.

Le principali evidenze che sono emerse riguardano: il tema della digitalizzazione (che ricomprende sia formule auspicate di crm più avanzato sia soluzioni di pagamenti che consentano tracciamento e analisi), necessità di maggiore ricorso alle tecnologie informatiche da mettere a disposizione dei clienti (come app e piattaforme evolute) per facilitare la relazione, utilizzo di Ai per l’analisi dei dati, ricorso alla blockchain per garantire sicurezza sia nelle transazioni sia in forme di scambio relazionale, uso di realtà aumentata e di esperienze immersive ma anche di soluzioni ludiche e di gamification per aumentare l’engagement con i clienti.

Dalla survey sui 19 manager risulta evidente anche la necessità di personalizzazione collegata a una più precisa conoscenza del cliente così da garantire una sua gestione più profittevole collegando in modo mirato redditività e ricompense. Un tema nuovo che è stato condiviso dai manager è la sostenibilità ambientale e sociale (argomento che richiama ancora una volta la fiducia nell’azienda e nei suoi comportamenti), essi propongono un allineamento della csr con le attività di loyalty (per esempio proponendo reward sostenibili, promuovendo operazioni di utilità sociale). Altrettanto concorde è l’inclusione della loyalty in una visione strategica che consenta all’azienda di beneficiare complessivamente della relazione con i suoi clienti.

Se i loyalty program sono visti come indispensabili nello stabilire un legame con il consumatore, si ritiene che vadano rinnovati (aspetto emerso recentemente anche nelle analisi dell’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma), vada migliorata la segmentazione, ridefinite le esperienze e le ricompense debbano essere effettivamente mirate. Il panel dei manager intervistati afferma che le iniziative di fidelizzazione sono da differenziare dalla concorrenza, che i programmi dovrebbero consentire di raccogliere un maggior numero di feedback che i clienti potrebbero spontaneamente dare, una volta implementato il loro coinvolgimento attivo per stimolare un senso di appartenenza all’insegna. Ergo i clienti vanno ascoltati e valorizzati.

Le misurazioni. Prima di giungere alle proposte di misurazione, vi è un’indispensabile disquisizione sulle diverse forme di loyalty, le caratteristiche, le condizioni in cui si manifestano, gli aspetti attitudinali, comportamentali, le tipologie di attaccamento e affetto verso i brand, i molti processi psicologici coinvolti nelle intenzioni, nelle decisioni di preferenza, scelta e nell’atto di acquisto. Tutto questo ancora per ribadire la complessità della loyalty che non può essere confinata nelle sole vendite: vanno prese in considerazione le componenti di cognition, affection, conation, action che il consumatore sperimenta. La behavioral loyalty è diversa dalla attitudinal loyalty e di conseguenza le metriche cambiano.

L’esame della letteratura disponibile in materia rivela una quantità di key performance indicator, destinati in gran parte a misurare il valore del cliente, la frequenza degli acquisti, la retention, la penetrazione del programma in relazione al parco clienti, la soddisfazione del cliente: metriche che non sempre restituiscono tutto il valore materiale e immateriale della loyalty. Da qui la seconda tranche della ricerca su un panel di 36 manager (di cui 25 operanti nel retail e 11 nel manufacturing) per cui è stata adottata la metodica della content analysis per rendicontare la ricchezza di contenuti espressa dai manager.

Alla domanda “Quali kpi utilizzate per misurare la loyalty?” le risposte si polarizzano attorno a soluzioni atte a misurare la profittabilità dell’iniziativa e in seconda battura a valutare aspetti comportamentali (come la redemption, numero dei partecipanti, premi ritirati ecc.). Mentre indicatori che possano dare conto delle intenzioni di acquisto o di aspetti cognitivi non sono ancora entrati nell’arsenale delle metriche in uso, o lo sono raramente. Ancora poco spazio hanno le misurazioni della loyalty cognitiva (come per esempio i benefici percepiti dai clienti) e di altri aspetti immateriali pur a fronte di campagne di tipo esperienziale.

Per i manager intervistati la carta fedeltà è la fonte primaria di dati sui clienti, anche se ci si sta muovendo in un’ottica di integrazione con altre fonti di dati come survey, panel di clienti, analisi psicografiche, geomarketing, studio di tendenze di consumo. Se da un lato si cerca di conoscere sempre meglio il proprio cliente (arrivando a definire una buyer persona) dall’altro a livello territoriale si studiano potenziali cluster di consumatori in vista di nuove aperture di sedi. Tuttavia ancora poco spazio hanno le analisi predittive, le neuroscienze, l’uso dell’intelligenza artificiale, pur ritenendo ormai indispensabile accedere a livelli di analisi più raffinata e capace di offrire conoscenza su comportamenti e motivazioni, su dati davvero specifici per ogni cliente, ma strettamente integrati in modo che tutta l’azienda possa beneficiare della conoscenza del cliente.

La pluralità di iniziative. La misurazione dei risultati risulta complessa anche a fronte del lancio, nell’arco dell’anno, di iniziative di breve e di lungo termine (long e short collection, giochi e concorsi via app, iniziative in store, cash back e tutta la panoplia delle manifestazioni a premio), alcune con lo scopo di creare engagement, altre solo bolle di vendita, altre ancora maggiore senso di appartenenza al brand o all’insegna del retailer. Meccaniche e scopi diversi che hanno la necessità di una comunicazione idonea, che producono effetti da verificare nel breve o nel medio termine utilizzando kpi e metriche idonee. Una pluralità di iniziative che nasce dall’omnicanalità e da un consumatore ubiquo, che richiede esperienze fluide passando da un canale fisico a quello digitale, da un touchpoint all’altro.

Se i manager intervistati sono concordi nell’affermare che la convergenza dei canali è un dato di fatto, ritengono anche che siano necessarie metriche proprie per l’online (come engagement rate, click-through ecc.) che siano però in grado di intersecarsi con i risultati offline per offrire un quadro complessivo di ogni consumatore nei suoi percorsi di spesa. L’integrazione delle metriche è quindi la richiesta che i manager rivolgono alle società di informatica affinché vengano studiate soluzioni che consentano la convergenza dei dati, ma anche una più agevole consultazione degli stessi da parte di diverse aree aziendali, visto il ruolo centrale della loyalty e la sua incidenza su tutta l’azienda.

Risulta un quadro composito, ma che restituisce dati specifici di settore. Per esempio il grocery, che si confronta con l’infedeltà elevata e comportamenti opportunistici improntati al risparmio (generati da scontistica, offerte a volantino ecc.), ha l’esigenza di fare leva sia sulla fiducia sia sulla preparazione del personale che si relaziona con i clienti sia sulle proprie private label oltre che sulle relazioni di lungo periodo di programmi fedeltà molto mirati (ossia che possano effettivamente ricompensare i clienti che perseguono comportamenti assecondanti).

I manager guardano al futuro della loyalty e unanimemente auspicano la creazione di indicatori di performance e di metriche più precisi (forse possibili considerando un consumatore sempre più aperto al digitale e all’uso di app e di soluzioni che ne possano tracciare il suo journey pur nel rispetto della privacy), ma anche di campagne che possano esaltare l’engagement del consumatore da un lato e dall’altro la disponibilità dell’insegna a diventare suo partner per tutte le necessità. La customer centricity può essere perseguita attraverso una loyalty che sappia agire sullo stato cognitivo ed emotivo, che sappia cogliere ed esaltare tutte le sfumature della relazione attraverso una pluralità di touchpoint nella realtà fisica tanto quanto nel mondo virtuale.

Marilde Motta

Nella comunicazione dal 1978, in costante aggiornamento e approfondimento. Ho scelto le pubbliche relazioni come professione, dedicando attenzione a promozioni e direct marketing, su cui scrivo. Amo all’unisono il silenzio, i libri e i gatti. contatti@adpersonam.eu