C’è un tempo di inizio e uno di fine. È la normativa sulle operazioni di prezzo (svendite stagionali, offerte speciali, sottocosto, scontistica ecc.) e quella sulle promozioni e loyalty (ossia le manifestazioni a premio che includono tutta la gamma delle meccaniche relative a operazioni a premio e concorsi) che lo stabilisce. Un tempo che va da pochi giorni ad anni, nel caso delle attività di long collection della distribuzione, frequent flyer e iniziative assimilabili. Il ruolo del fattore tempo è poco studiato, forse perché si ritiene che la maggior parte delle iniziative promozionali esaurisca il proprio compito (incrementare le vendite) nel breve tempo assegnato. In realtà questa è una presupposizione che andrebbe corretta. Legato alle vendite, infatti, non c’è mai un prodotto anonimo, ma collegato a un marchio che si fa da garante e talvolta a una marca nota o addirittura famosa con cui il potenziale acquirente ha già in essere un rapporto di acquisto, se non una relazione vera e propria (ossia uno scambio, per esempio interagendo con il servizio clienti del brand, con gli owned media dell’azienda e sui social dove è attiva con le sue marche, con altri consumatori siano essi costituiti in community o no). Pensare che la promozione esaurisca il proprio compito entro una data definita significa perdere la possibilità di raccogliere altro valore sia in termini economici sia di preferenza per la marca. Indubbiamente l’intensità della resa della campagna si deve manifestare entro la data di inizio e di fine, ma potrebbe perdurare nel tempo se, esaurito il compito fondato sulle vendite, continuasse quello relativo al mantenimento del legame con la marca, con l’obiettivo di rendere più profonda la memorizzazione del brand (sfruttando la soddisfazione dovuta all’opportunità di aver beneficiato del prodotto a condizioni favorevoli), predisponendo il consumatore alla brand favorability che porta al riacquisto anche in assenza del vantaggio garantito dalla promozione.
Quindi? Le campagne di promozione pensate per il qui e ora dovrebbero essere dotate di soluzioni che riaccendono l’interesse nelle settimane seguenti la fine dell’iniziativa. Per esempio, i contenuti del messaggio che identifica la campagna potrebbero annunciare già cosa è stato pensato a favore del consumatore (un gioco online che lo intrattenga offrendo un momento di svago, un filmato che apporta informazioni rilevanti, un progetto in campo ambientale a cui il consumatore può dare un contributo economico, o visibilità rilanciandolo online, una storia a episodi e molto altro). Alla campagna di promozione non va dunque messa la parola fine: se è indispensabile trarre un consuntivo economico al termine tecnico dell’operazione, è altrettanto importante non lasciar cadere nell’oblio la campagna, ma sfruttare lo slancio che ha impresso al prodotto e al brand per ottenere la permanenza nel tempo della predisposizione positiva, che dovrà agire sui riacquisti successivi.
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.