Aspetti rilevanti delle relazioni con la clientela sono spesso sacrificati sull’altare dell’efficienza e della razionalizzazione, portate da soluzioni digitali o procedure organizzative che, invece di migliorare la situazione, finiscono per peggiorarla sacrificando il customer lifetime value sull’altare dei margini di breve periodo.
Talvolta per parlare di teoria bisogna partire dalla pratica e non credo ci sia modo migliore per farlo che utilizzare esempi reali ispirati alla vita di tutti i giorni. Partiamo dalla decisione di cambiare il vecchio fornitore della rete, tre volte più caro del nuovo nonostante l’infrastruttura su cui si appoggiano sia la medesima. La prima nota stonata è che questo negli anni non ha nemmeno provato a proporre abbonamenti che almeno si avvicinassero a quelli più vantaggiosi presenti sul mercato per prevenire una prevedibile disdetta del contratto. Né, a posteriori, ha manifestato il ben che minimo tentativo di trattenere un cliente che definirei storico.
Le soluzioni tecnologiche non mancano, ma devono essere guidate da una cultura aziendale che pone il cliente al centro
Le uniche due comunicazioni hanno riguardato alcune spese di disinstallazione e la conferma che, in qualità di ex cliente, non avrei più avuto diritto all’indirizzo di posta elettronica. Parliamo di un elemento dell’anagrafica cliente non indifferente, visto che è uno dei pochi touchpoint a disposizione delle aziende per contattarlo in modo economico ed è utilizzato spesso come identità dell’utente (o user id) nei processi di riconoscimento. Bene allora non sottovalutare il tempo e la pazienza necessari per fare fronte alle conseguenze di un cambiamento tutto sommato banale. Una volta deciso di non investire nell’aggiornamento dei profili presenti presso fornitori di prodotti o servizi ai quali ho ceduto il prezioso indirizzo in cambio di programmi promozionali mai utilizzati, ho scoperto per esempio che molti editori di newsletter non sono attrezzati per consentire al destinatario di modificare l’indirizzo di posta. Il che, ovviamente, va a scapito della loro audience.
L’aspetto più delicato, tuttavia, è senz’altro quello che riguarda le utenze. E proprio in questo ambito ho vissuto l’esperienza peggiore, dovendomi relazionare con il sito prima e il servizio clienti poi di un notissimo fornitore nazionale di gas ed elettricità che mi invia le bollette in formato digitale. Infatti, un palese difetto nella procedura per modificare l’indirizzo all’interno del profilo utente mi ha costretto a cercare di comunicare con l’assistenza. Ho così scoperto che l’unico modo per segnalare il problema è affrontare lunghe attese causate dalle decine di utenti in coda al telefono e sulla chat, cui seguono dialoghi con bot – dotati di un buon livello di comprensione dell’italiano, ma non sempre del problema – e altri con assistenti in remoto per lo più volonterosi, ma non sempre risolutivi. In comune agli uni e agli altri, ogni volta, la richiesta di spiegare chi fossi e quale fosse il problema.
Tanto che, per ottenere il risultato di cui ormai disperavo, ho impiegato più di un mese, dopo aver perso nel frattempo anche l’accesso all’area clienti, unico luogo dove potevo leggere gli importi delle bollette, che nel momento in cui scrivo riservano belle sorprese. In prossimità, invece, della scadenza della carta di credito mi attengo diligentemente all’invito fatto dalla banca di scegliere la modalità di consegna a domicilio per evitare assembramenti in filiale. Una procedura automatizzata mi segnala che la carta è stata spedita e il giorno dopo arriva un messaggio di un dirigente che assicura che mi giungerà entro la scadenza della precedente. Poi più niente. Passati quaranta giorni e forte di un’esperienza analoga vissuta da mia moglie con il bancomat del medesimo italianissimo istituto bancario, ho dovuto chiedere l’annullamento di quella carta, persa chissà dove, e l’emissione di una nuova che andrò a ritirare direttamente in filiale.
Si tratterà di una coincidenza fortuita, eppure un’altra carta di credito, questa volta americana, pur avvalendosi del medesimo sistema di spedizione, mi era arrivata addirittura con una decina di giorni d’anticipo nel periodo natalizio, notoriamente uno dei peggiori nel corso dell’anno per qualsiasi genere di consegna. Allo stesso modo, il leader americano dell’ecommerce difficilmente sgarra di un giorno nella consegna di quanto acquistato sul suo marketplace, ma anzi, cerca ogni volta di sorprendermi anticipandola anche rispetto ai frequenti aggiornamenti sullo stato della stessa. E chiede poi sempre un feedback sull’esperienza di acquisto e sull’articolo scelto. L’eccellenza, tuttavia, l’ho sperimentata con un noto fornitore di servizi di intrattenimento di origine anglosassone. Rotto un telecomando durante la pandemia, per chiedere informazioni sul modo per acquistarne uno nuovo ho telefonato al primo numero “800” del servizio clienti che ho trovato. Qui un sistema automatico ha riconosciuto subito il mio cellulare, segnalandomi l’esistenza di un canale riservato ai clienti con una certa “anzianità di servizio”, al quale mi ha reindirizzato direttamente. Lì ho trovato un cortese giovanotto che mi ha informato che, sempre per il mio status di cliente affezionato, avrebbero inviato a casa mia un nuovo telecomando nel giro di quarantotto ore e a titolo completamente gratuito.
Senza un’eccellente organizzazione logistica per muovere le merci, gli effetti benefici della trasformazione digitale vengono meno
Possiamo dire che gli episodi descritti rappresentano degli estremi all’interno di ciò che si intende oggi per customer care o, se si preferisce, per customer experience? E che le aziende di servizi internazionali hanno a questo proposito una sensibilità superiore rispetto a quelle di casa nostra, abituate talvolta a operare in mercati protetti dalla concorrenza reale? Forse. Fatto sta che aspetti rilevanti delle relazioni con la clientela sono spesso sacrificati sull’altare dell’efficienza e della razionalizzazione, portate da soluzioni digitali o procedure organizzative che, invece di migliorare la situazione, finiscono per peggiorarla. Sacrificando il customer lifetime value sull’altare dei margini di breve periodo. Eppure, McKinsey sintetizza bene le quattro direttrici che condizionano l’esperienza dei clienti con le specifiche funzioni aziendali al loro servizio. Tendenze rafforzate dalla pandemia, quando si sono compiute in due mesi trasformazioni che normalmente avrebbero richiesto quattro o cinque anni.
La prima riguarda l’impulso avuto dalla digitalizzazione, che porta a prevedere che l’80% delle interazioni in futuro saranno digitali. Se, tuttavia, manca un’eccellente organizzazione logistica per muovere gli oggetti fisici, buona parte degli effetti benefici di questa trasformazione viene meno. Come abbiamo imparato analizzando i risultati economici e di customer satisfaction delle imprese distributive nel corso degli ultimi due esercizi fiscali.
L’abbondanza di dati relativi ai clienti, poi, favorisce la personalizzazione della relazione, gestita da una combinazione di risorse umane, intelligenza artificiale e assistenza digitale che renderanno il futuro contactless. Se è vero che le soluzioni tecnologiche per farlo non mancano, allo stesso tempo devono essere guidate da una cultura aziendale che pone il cliente al centro e disegna processi e meccanismi organizzativi intorno a lui.
Il terzo aspetto riguarda il lavoro in remoto, che si diffonderà sempre più e impatterà anche sull’assistenza clienti. Perché chi opera in modalità smart working deve disporre di una tecnologia adeguata a interagire con i sistemi aziendali per la condivisione delle informazioni e nel rispetto delle procedure di sicurezza. Lo sviluppo di soluzioni in cloud va in questa direzione.
Infine, non bisogna trascurare le competenze necessarie all’interno dei team dedicati al servizio clienti. Persone nate spesso digitali, in grado di supplire attraverso gli strumenti all’assenza di un rapporto fisico personale. Le quali, tuttavia, devono avere la sensibilità di sapersi mettere nei panni dei clienti, non sempre esperti quanto loro nel muoversi online. Avendo poi l’autorevolezza per portare la loro voce alle funzioni aziendali le cui decisioni sono in grado di migliorare la customer experience. Se uno o più di questi elementi viene a mancare, ecco che la qualità del servizio erogato è a repentaglio.
È fondamentale che i contatti, umani o gestiti da bot, sviluppino un’attitudine all’ascolto e alla comprensione dei problemi
Quali sono allora i passi fondamentali per offrire ai clienti un rapporto personalizzato e in grado di fare fronte sempre alle sue esigenze? Innanzitutto, la customer data platform deve essere in grado di raccogliere tutte le informazioni relative all’identità – anche digitale – che riguardano ogni singolo cliente, compresi i contatti pregressi con i diversi touchpoint aziendali, i loro motivi e l’esito finale. E tali informazioni devono essere disponibili in tempo reale per tutte le funzioni chiamate a interagire con la clientela, tanto per riconoscerla e valutarne l’importanza, che per accedere immediatamente alla storia delle sue relazioni con la marca o l’insegna. In secondo luogo, è fondamentale che i contatti – tanto che siano umani (meglio) o gestiti da bot (molto migliorabili) – sviluppino un’attitudine all’ascolto e alla comprensione del problema.
Esistono casistiche diffuse per le quali è relativamente facile definire un processo anche standardizzato in grado di offrire una risposta efficace. Ma anche casi unici, per la risoluzione dei quali è indispensabile capire prima di agire. La conoscenza degli strumenti a disposizione, delle procedure, delle regole sottese poi fa la differenza tra un eccellente livello di servizio e un approccio orientato al cliente di facciata. Ovviamente, a monte, l’esperienza di cui si parla è il frutto di decisioni di business, di strumenti tecnologici disponibili e, anche, della natura dell’interazione con il pubblico, come spiega bene un breve articolo dell’International Institute of Business Analysis e dell’International Usability and Ux Qualification Board ripreso da Gartner. Le diverse aree di sovrapposizione tra i tre insiemi sono presidiate dagli specialisti, che comprendono gli analisti di business a livello di processi e sistemi, i product, project e owner manager, gli Ux e requirement engineer, gli architetti delle informazioni, i designer delle interazioni e delle interfacce utente, fino ad arrivare a chi ne testa l’utilizzo tanto per quanto riguarda le esigenze dei clienti che quelle del business.
Infine, un aspetto di cui si parla poco è quello relativo all’impatto sulla qualità dell’esperienza vissuta delle interazioni con gli altri clienti o utenti. Dall’esempio sempreverde del vicino di tavolo del ristorante all’aperto che fuma il sigaro, a quelli più attuali di chi davanti a noi al supermercato ha mandato in tilt la cassa del self-checkout, o dei tempi di attesa nelle lunghe code fisiche e digitali per accedere a vari tipi di sportelli o servizi di assistenza. Comportamenti tali da negare una customer experience eccellente perché ci si possa permettere di non prevederli e regolamentarli.
Filippo Genzini
Ho sempre lavorato nel settore dei servizi innovativi di marketing per le aziende del largo consumo e - in particolare - del retail, sia sul fronte della marketing intelligence sia su quello della comunicazione, con una focalizzazione sull’approccio customer centric. Hobby prediletti: la scrittura e la musica. genzini@admirabilia.it www.ilcommissariozarotti.com