Domanda provocatoria sulla quale vorremmo aprire un dibattito. Nei mesi scorsi, abbiamo visto molti autoarticolati, con tanto di logo di insegne distributive, lasciare i piazzali di carico e avviarsi verso il confine fra Polonia e Ucraina. Applausi di consenso e molte lodi per come le insegne distributive si sono fatte carico di un’emergenza, portando tante referenze food e non food, della marca d’industria e private label, in aiuto ai profughi.
Non è l’unica drammatica situazione in cui le insegne della gdo si sono mosse per offrire un sostanziale contributo. Tutto questo lo possiamo inquadrare in una sigla, csr, la strategia di responsabilità sociale e ambientale che le grandi aziende hanno adottato. Ormai ci si aspetta che anche le pmi vadano in questa direzione, con una sempre più ampia adozione dei principi e delle best practice sottese alla csr, e ispirino i loro investimenti finanziati secondo l’environmental social governance. Tuttavia questo rappresenta il mondo dell’azienda, delle sue libere scelte, delle sue decisioni. Non si sente la voce del customer, del cliente finale, del cittadino che gira fra gli scaffali, compra e utilizza i prodotti.
In un certo senso è come se l’azienda volesse con la propria azione di aiuto umanitario interpretare il pensiero dei propri clienti. In effetti molte aziende hanno un approccio che integra gli interessi di tutti gli stakeholder (dai vari protagonisti della filiera di approvvigionamento fino al consumatore con o senza la fidelity card) nella strategia complessiva. Approccio che deriva dall’ascolto, dalle ricerche, dal dialogo, dalla comprensione di bisogni funzionali a cui le merci devono ottemperare, ma che consente anche di riflettere e includere i valori, le civiche virtù e l’impegno etico che i cittadini chiedono ormai a qualunque impresa. Se questa è una via ormai consolidata di “stakeholder-centric approach”, che consente alle aziende di definire un purpose (come la letteratura manageriale insegna) capace di andare oltre il business e il profitto, c’è da chiedersi se non ci sia anche un’altra strada. Noi la vediamo ed è molto ampia.
Le promozioni e gli schemi di loyalty possono dare alle persone protagonismo e libertà di espressione. La gdo ha già al proprio attivo forme di aiuto al non profit, campagne che con la cooperazione dei clienti hanno consentito di dotare le scuole di strumentazione moderna. Un passo ancora più in là è la presa di posizione su tematiche che hanno un risvolto politico a cui non si può restare indifferenti poiché riguardano i grandi valori della democrazia, ma anche tematiche fondamentali come l’inclusione, il clima. Allora perché non dare ai cittadini la libertà di esprimersi e di contribuire direttamente, di diventare effettivi coautori di un impegno in difesa di ideali, di valori profondamente sentiti? Le meccaniche promozionali e gli schemi di loyalty sono molti e facilmente adattabili all’evenienza. Si tratta solo di passare dall’azione.
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.