La gamification ha una ricaduta positiva su engagement e fedeltà

Gli studi mostrano anche una relazione diretta con la partecipazione, il lavoro in team, gli effetti sull’apprendimento. Per capire però quando utilizzare la gamification occorre adottare un processo ragionato di design dell’esperienza gamificata.

Il 70% delle aziende italiane operanti nel b2c ha un programma di loyalty/retention strutturato e nel 20% dei casi questo fa uso di elementi della cosiddetta gamification, ovvero quiz, sfide, badge, livelli e progress bar, classifiche e altro. La gamification – termine apparso intorno al 2010 e reso popolare dalla definizione di Sebastian Detering come “l’uso di elementi di gioco in contesti non di gioco” – sarà sempre più presente nei prossimi anni per la fidelizzazione.

A dichiararlo sono le aziende che hanno risposto all’indagine annuale dell’Osservatorio Fedeltà UniPr: il 39% ha in programma d’introdurre elementi di gamification nelle proprie strategie di loyalty, una tendenza forte come quella dei vantaggi esperienziali o come la “virata” verso la sostenibilità, come illustra la tabella.

 

Perché tanto interesse per la gamification? Nel marketing la gamification è vista come “il processo di arricchimento del prodotto/servizio con esperienze giocose (playful in inglese, ndr) che si traducono in un aumento di valore per il cliente” (Huotari e Hamari, 2012). Si ritiene che ammantare il prodotto o meglio arricchirne l’esperienza con contenuti giocosi renda tale esperienza migliore, più piacevole, con ricadute positive sul cliente che la sperimenta. E quali sono specificamente, queste ricadute positive, questi effetti della gamification?

La ricerca scientifica ha dimostrato che la gamification produce effetti in tre grandi ambiti: a livello emotivo e cognitivo dell’utente; sul comportamento; sull’apprendimento. Per quanto riguarda le emozioni, la presenza di elementi di gamification può produrre effetti positivi come l’enjoyment, il divertimento, e incidere sulla soddisfazione. Inoltre può mettere l’utente in uno stato di “flusso”, che è definito come “uno stato in cui la persona si trova completamente assorta in un’attività per il proprio piacere, durante il quale il tempo vola e le azioni, i pensieri e i movimenti si succedono uno dopo l’altro, senza sosta”. Inoltre, la gamification può influenzare positivamente la motivazione, un tema caro a chi si occupa di loyalty. In questo caso non si tratta di motivazione estrinseca, ovvero stimolata da vantaggi come i reward e i premi dei programmi fedeltà, ma della preziosa motivazione intrinseca, ovvero “la volontà di ingaggiarsi in una attività in quanto piacevole in sé stessa”.

Con riferimento al comportamento, le ricerche hanno mostrato una relazione positiva e diretta della gamification con l’engagement, la partecipazione, il lavoro in team e, in generale, il miglioramento della performance, per esempio lavorativa.

Infine, molto numerosi sono gli studi che mostrano gli effetti sull’apprendimento, dalla comprensione dei concetti al miglioramento del pensiero critico e di quello creativo. Non a caso l’ambito education è uno dei principali per le applicazioni di gamification.

Perché la gamification produce tutti questi effetti positivi? La ricerca accademica ha proposto di volta in volta numerose teorie, sia in ambito psicologico sia sociologico, che ne spiegano le ragioni. Dalla teoria del rinforzo positivo alla stessa teoria del flusso a quella dell’autodeterminazione, a molte altre. La base scientifica quindi è decisamente solida.

Abbiamo chiesto a circa 180 manager partecipanti al webinar dell’Osservatorio Fedeltà dedicato alla gamification (20 aprile) in che ambito del loyalty marketing applicherebbero la gamification, e innanzitutto è emerso che si vorrebbe sfruttarla per aumentare l’engagement con il programma fedeltà (70%). All’interno dei programmi fedeltà, la gamification funziona? Uno studio (Hwang e Choi, 2020) condotto negli Usa ha sviluppato un esperimento online cui hanno partecipato circa 200 utenti, per testare l’efficacia di un programma loyalty gamificato rispetto a uno “tradizionale”. L’elemento di gamification introdotto era un meccanismo tipo bingo ispirato a quanto fa Starbucks nel suo programma fedeltà su app con la Starbucks bingo challenge. Gli utenti erano assegnati a caso o al programma gamificato o all’altro (gruppo di controllo), e potevano scegliere tra redimere i punti per un coupon da 5 dollari da usare sull’acquisto successivo oppure donare i 5 dollari a una charity locale.

I partecipanti hanno compilato un questionario di gradimento sul programma sperimentato e dichiarato l’intenzione di parteciparvi scaricandone l’app. Grazie alla gamification il gradimento nei confronti del programma fedeltà aumenta in media del 13%, così come aumenta l’intenzione di partecipare al programma fedeltà scaricando la mobile app, mentre la gamification non modifica la preferenza per i vantaggi “per sé stessi” o “altruistici” (la charity).

Abbiamo poi chiesto ai manager partecipanti al webinar quali sono le principali perplessità che nutrono rispetto all’adozione della gamification. Come mostra la tabella si teme che non sia ingaggiante (51%) e anche che i costi siano eccessivi rispetto ai benefici (43%).

Senza dubbio gli elementi per gamificare un’attività o un’esperienza sono i più diversi, i modi per impiegarli altrettanto, e non necessariamente introdurli porta i risultati sperati. Si deve adottare un processo ragionato di design dell’esperienza gamificata.

Nella prassi, sia consulenziale sia scientifica, esistono oggi circa 18 framework, ovvero modelli concettuali che si possono adottare per guidare il processo di gamification. È necessario fare attenzione: se anni fa ci si affidava ai framework di game design (per esempio l’Mdamechanics, dynamics and aestethics), con il tempo sono emersi modelli di gamification veri e propri. Il game design, infatti, differisce dalla gamification, perché il fine del primo è il fun, ovvero produrre divertimento, mentre quello della seconda è invece strumentale a un obiettivo di business, per raggiungere il quale deve sviluppare un’emozione e/o un comportamento nell’utente.

Qualunque sia il framework teorico che si decide di adottare – si pensi a puro titolo di esempio al modello 6D o a Octalys – il consiglio è di non improvvisare, ma di affidarsi a specialisti che sappiano comprendere le finalità del progetto e adattarle al brand. Volendo distillare dagli studi sul tema, nella grafica riprodotta in fondo all’articolo abbiamo condensato gli elementi che dovrebbero comunque essere presenti se si desiderano risultati. Per esempio, per ottenere comportamenti gli obiettivi devono essere chiari e rilevanti per l’utente, che deve ricevere feedback immediato, rinforzo positivo dopo un’azione, e così via.

Al tema della gamification è stato dedicato un webinar di approfondimento dell’Osservatorio Fedeltà. Per non perdere i seminari tematici online dell’Osservatorio, iscriviti al sito web.

 

 

Cristina Ziliani

È professore ordinario di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Loyalty marketing e Customer relationship management. Dal 1999 è responsabile dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma. È autrice di oltre 60 articoli scientifici e 5 libri sui temi del loyalty marketing e data driven marketing. Nel 2020 ha pubblicato con il collega Marco Ieva, per l'editore internazionale Routledge "Loyalty Management: from Loyalty Programs to Omnichannel Customer Experiences". www.osservatoriofedelta.it