Portiamo l’attenzione sugli schemi di loyalty e sul tipo di relazione che propongono. Intanto va segnalato che le attività volte a fidelizzare il più a lungo possibile i clienti sono ormai appannaggio delle più diverse e articolate catene distributive (fra cui la gdo continua a essere il maggior utilizzatore).
La relazione si gioca fra due soggetti, da una parte la catena distributiva (ergo lo specifico punto di vendita erogatore di beni e servizi) dall’altra i clienti. È l’azienda che progetta ogni aspetto della relazione con l’intento di catturare, intrattenere, trattenere (e se necessario recuperare) i clienti con annessa preferenza nonché share of wallet.
I programmi di loyalty sono modellati su una relazione che si configura come essenzialmente opportunistica in un duplice senso, ossia i retailer invitano i clienti a valutare la convenienza e i benefici dell’adesione al programma di loyalty e li spronano a cogliere l’attimo, a essere tempestivi.
Così i termini fedeltà o lealtà (impiegati per tradurre loyalty) stridono in questo contesto. Fedeltà deriva da fidelitas termine prossimo anche a fides (fede, fiducia) con riferimenti in ambito religioso; lealtà ha un significato ancora più complesso, si riferisce a un patto vincolante per le parti. I programmi di loyalty spesso portano invece la relazione sui binari che la rendono artificiale, artefatta, vincolante.
I clienti sono consapevoli del tipo di relazione che si instaura con l’azienda? Sicuramente conoscono il meccanismo, sanno che aderendo allo schema di loyalty bisogna poi continuare a fare acquisti, raccogliere i punti, accedere al riscatto del premio, in un movimento circolare chiuso. In molti casi la proposta è allettante e annulla qualunque ritrosia; la supera così bene che la fedeltà è elargita con generosità a tante insegne per poter cogliere quanti più vantaggi è possibile.
Si spende un po’ qua e un po’ là. Nessuna azienda conquista solo per sé il cliente. Potrebbe mai essere accusato d’essere infedele? Il cliente rimanderebbe al mittente l’accusa dimostrando chiaramente “mi avete spinto voi a essere così”. Infatti cosa fa l’azienda per meritarsi la preferenza, la fiducia, la fedeltà, addirittura la lealtà imperitura del cliente? Si inventa soluzioni per tenerlo lock- in, intrappolato.
Se le aziende investissero in termini di customer satisfaction, di prodotti e servizi con aspetti qualitativi tangibili e intangibili ineccepibili, se le aziende ascoltassero i clienti, se fossero davvero al loro servizio, la relazione sarebbe più aperta, spontanea, altruistica? Ogni relazione ha una fragilità intrinseca, basta poco per portarla al punto di rottura. I produttori di beni e servizi come i distributori sono ormai fra loro sostituibili, così la fedeltà artificiale è accettata. Per renderla più vivace le aziende dovrebbero aprirsi al dialogo, offrire sistemi di reattività efficienti, esperienze coinvolgenti con i programmi di loyalty, facendo sentire l’azienda degna della loro fiducia e fedeltà.
Andrea Demodena
Dopo la frequenza di Economia e commercio in Cattolica, si iscrive a Lettere Moderne, presso l’Università Statale di Milano, laureandosi a pieni voti con una tesi in storia dell’arte contemporanea. Come giornalista ha collaborato con Juliet, Art Show, Tecniche Nuove, Condé Nast, Il Secolo XIX, Il Sole 24Ore. Dal 2000 si occupa di marketing e promozioni. Dal 2014 è direttore di Promotion.