Quali sono i fenomeni che devono orientare il customer management? L’osservatorio Fedeltà indica quelli principali che improntano la situazione attuale e che continueranno a esercitare influenza in futuro, rappresentando opportunità per creare valore per il cliente in ottica di fidelizzazione.
Nell’earning call del terzo trimestre di quest’anno Alibaba ha illustrato agli azionisti la crescita del 14%, la più alta degli ultimi due anni: “sono cresciuti a doppia cifra gli iscritti al nostro programma fedeltà 88Vip e l’average order value. Continueremo a investire negli user per far crescere l’average order value e, in questo modo, faremo crescere la nostra azienda”. Un ceo che si rivolge agli azionisti con il linguaggio del crm, parlando di programma fedeltà, di membri del programma e di ordine medio di cliente… ci stupisce? Beh, se pensiamo che si tratta di un colosso dell’ecommerce, dove tutto è misurabile, non più di tanto. Come non ci ha stupito il linguaggio simile che si ritrova nelle dichiarazioni di Expedia del medesimo periodo: “La nostra strategia b2c è di attrarre e fidelizzare clienti di valore, farli diventare membri del programma e far loro usare l’app, perché i membri del programma hanno profitti per transazione più elevati e maggiori tassi di riacquisto, il che porta a un lifetime value più elevato. Aumentare questo tipo di clienti ci consente di crescere in modo più profittevole e più veloce”.
Lo stesso linguaggio, gli stessi kpi orientati al customer management, e non al brand management, li si trova sempre più spesso anche nelle strategie dei player di settori più tradizionali e “fisici”, come Sephora o Levi’s, che recentemente hanno parlato rispettivamente di “avere performato in modo eccezionale, perché [Sephora] continua a innovare ed evolvere le esperienze personalizzate fondate sul programma fedeltà” e del fatto che “le transazioni degli iscritti al programma [di Levi’s] e gli average transaction values continuano a crescere, conseguenza positiva della nostra strategia di far crescere la membership”. Uno studio degli accademici Han, Reinartz e Skiera (non ancora pubblicato), condotto su 2.085 imprese Usa quotate in Borsa appartenenti a dieci settori, analizzando oltre 80.000 earning call raccolti in sedici anni, dal 2003 al 2019, ha evidenziato due fatti molto importanti per noi che ci occupiamo di fidelizzazione: l’orientamento strategico al customer management, ovvero fondato sul far crescere il valore della customer base e non sullo sviluppo della marca (cosiddetto orientamento di brand management), è oggi il più diffuso ed è quello che è cresciuto più negli ultimi anni (+35%). Inoltre è positivamente correlato ai profitti aziendali, mentre ciò non accade per l’orientamento al brand management, che è correlato alle vendite.
Ne discende una dimostrazione molto interessante: se si cerca la crescita profittevole, va perseguito l’orientamento al cliente e ai relativi kpi, quali quelli citati nelle dichiarazioni che abbiamo riportato sopra.
Ma come si realizza un orientamento di customer management? Bisogna partire dall’identificazione dei singoli clienti e dalla loro retention, che sia o meno attraverso un programma di loyalty e/o un approccio di crm e poi, se dai dati di cliente si riesce a ricavare insight, si può arrivare a implementare un approccio di customer experience management che faccia leva sulle opportunità offerte dagli strumenti tecnologici a disposizione, dai numerosi touchpoint e dai trend a livello di società e di economia che si riscontrano nello scenario odierno. Nella tabella abbiamo riunito i principali fenomeni che a nostro avviso improntano di sé la situazione attuale e continueranno a esercitare influenza in futuro, e che rappresentano altrettante opportunità per creare valore per il cliente in ottica di fidelizzazione. Di seguito approfondiamo alcune di queste tendenze.
Gen Z. Iniziando dai grandi fenomeni demografici e sociali, che hanno spes- so gli effetti più profondi e duraturi, bisogna ricordare l’affermazione della Generazione Z (coloro che hanno fino a 26 anni di età), che già nel 2025 sarà il 27% della forza lavoro a livello mondiale. Eppure per le aziende italiane intervistate dalla più recente ricerca del nostro Osservatorio (agosto 2023), questa generazione ha bassa priorità strategica nelle logiche di fidelizzazione (né pare vi siano programmi fedeltà sul mercato pensati specificamente per loro). Si tratta di un punto di attenzione che ci sentiamo di segnalare, anche perché questi consumatori, per l’abitudine all’utilizzo di canali e interfacce digitali, contribuiranno a trainare lo sviluppo dell’omnicanalità
Invecchiamento. Un secondo trend demografico da considerare è l’invecchiamento della popolazione: qui l’Italia è fortemente coinvolta, con un 23% della popolazione già oggi appartenente agli over 65, contro meno del 5% a livello mondiale. Ci chiediamo quanto questo venga considerato nelle logiche di creazione di valore per i clienti.
Benessere e salute. In questo grande mercato in crescita, che vale già quasi due miliardi di dollari a livello globale, sono presenti numerosi esempi di iniziative di fidelizzazione di successo, dai programmi omnicanale di Walgreens e di Watson ai servizi di riacquisto in abbonamento degli ecommerce generalisti e degli specialisti d2c (direct to consumer): possono essere fonte di ispirazione interessante per iniziative nel nostro paese.
Consumo sostenibile. Per non parlare della schiera crescente di iniziative che premiano i comportamenti sostenibili, che il nostro Osservatorio monitora già dallo scorso anno a livello internazionale. Volendo citare solo alcuni esempi, è interessante vedere che anche il department store di lusso Harrod’s ha introdotto un programma a punti per premiare chi ricicla i flaconi dei cosmetici, mentre le iniziative di rivendita di mobili usati introdotte da Ikea in diversi mercati tra cui Usa, Canada e Australia sono state ampliate in ottica omnichannel. Infatti, i clienti possono riportare in negozio mobili Ikea usati, dopo aver valutato il loro valore con un tool online, ricevendo un buono dal 30 al 50% del valore originario dell’oggetto, utilizzabile nelle visite successive. Gli arredi usati sono posti in vendita in un’area dedicata del negozio e oggi si possono anche visionare online e riservare per 48 ore. E della possibilità di restituire o vendere ad altri clienti attrezzature e abbigliamento sportivo usati, la catena americana Rei ha fatto uno dei benefici centrali del proprio programma di membership: dal 2017 – quando ha introdotto il marketplace online – al 2021 ha venduto oltre un milione di articoli usati e quest’anno ha aperto due nuovi punti di vendita dedicati interamente al resale.
Consumer confidence. L’ultimo trend sociale su cui è utile riflettere è quello relativo alla fiducia dei consumatori, a livelli minimi da decenni, complici la guerra in Ucraina e le incertezze legate a energia e inflazione. Ciò punta alla necessità per le imprese di rendere molto chiare le proprie proposte di valore e di loyalty. Si noti, peraltro, che i programmi fedeltà sono riconosciuti dalle aziende (89%, secondo il Report Antavo 2023) e dai consumatori (60%, ricerca Osservatorio Fedeltà su panel NielsenIQ 2023) come strumenti decisamente utili per preservare il valore in tempi di inflazione. Ben lo hanno dimostrato i retailer del Regno Unito che, negli ultimi 12 mesi, hanno in massa ricondotto sotto l’ombrello del programma fedeltà la maggior parte della scontistica, generando così un balzo in avanti della copertura del fatturato con carta fedeltà (per Tesco si è trattato del passaggio dal 70 all’80%). Un risultato notevole in un mercato della loyalty maturo come quello Uk.
Alla ribalta proprio quest’anno, poi, sono le iniziative riservate ai membri del programma loyalty introdotte da alcuni grandi player: si pensi alla Walmart+ Week, dal 10 al 13 luglio, perfettamente sovrapposta ai Prime Days di Amazon, e volta ad attrarre nuovi iscritti al programma in abbonamento con uno sconto sulla fee annuale del 50% e offerte riservate. Il department store Target ha fatto altrettanto, a giugno e ad ottobre, registrando un numero 3,5 volte superiore di nuovi iscritti alla settimana rispetto agli altri periodi dell’anno; infine, anche Walgreens ha introdotto dal 4 al 7 ottobre la MyW Week, con sconti e offerte sia online sia offline riservate ai membri del suo programma loyalty.
Intelligenza artificiale. L’esame dei grandi trend non può non dare massimo rilievo agli sviluppi dell’Ai, che offre alle aziende la possibilità di migliorare alcuni aspetti centrali del marketing e della customer experience, come search, recommendation, creazione di contenuti, servizi di supporto al cliente e personalizzazione, su un numero crescente di touchpoint. Gli annunci da parte di Meta, Amazon, Microsoft, OpenAi e Google, che si susseguono ogni giorno sui passi avanti nella Ai generativa, fanno pensare che presto le loro applicazioni si equivarranno, essendo in grado di interagire tutte con l’utente sia a voce sia via testo sia tramite il riconoscimento di immagini. Questo consentirà grande innovazione nell’incontro dell’utente con il brand sui diversi touchpoint: un esempio per tutti è la realizzazione di virtual influencer che possono essere impiegati 24/7 per il live streaming sui siti di ecommerce. In un recente articolo di Mit Technology Review si legge che vi sono almeno due società in Cina in grado di realizzare cloni digitali: basta un minuto di contenuto video di un influencer o altra personalità e 1.000 dollari per generare un clone digitale che parla e si muove come fosse il suo “originale” umano. Il testo che il clone pronuncia è generato da un large language model e i suoi gesti sono coerenti con le parole. Il software può modificare il testo per rispondere in tempo reale ai commenti degli spettatori e, analogamente, il volto e la voce si modificano per accordare l’emozione espressa al contenuto del commento. Solo tre anni fa erano necessari 30 minuti di contenuto video per “addestrare” l’algoritmo, poi si è scesi a 5 e infine a 1 minuto: con un costo di 1.000 dollari, un influencer digitale si ripaga in poche ore di “lavoro” live su un sito di ecommerce.
Ecommerce e recommerce. Concludiamo con alcune considerazioni sui trend dell’ambiente competitivo: esso sarà contrassegnato dalla continua crescita dell’ecommerce, che rappresenterà il 41% del fatturato del retail moderno a livello mondiale entro il 2027 (ora è il 35%) e varrà il doppio in termini di opportunità di vendite a valore rispetto a tutti i canali fisici messi insieme. In tale ambito, il social commerce rappresenta oggi il 12% della spesa totale ecommerce e si stima arriverà al 19% nel 2025, per un valore di 1,2 trilioni di dollari. Anche il mercato del recommerce (ovvero il resale, la vendita di prodotti di seconda mano) ha un tasso di crescita elevato: si stima cinque volte quello del retail e potrebbe raggiungere i 250 miliardi di dollari nel 2030. Perché ci interessa?
Retail media. L’ecommerce, in tutte queste declinazioni farà sviluppare e maturare il fenomeno del retail media network, il business che permette ai brand di comperare spazi pubblicitari su tutti i media (digitali e non) del retailer, nonché più in generale in rete, e che si fonda sull’utilizzo dei dati per entrare in contatto con ciascun cliente, anche in modo personalizzato, in qualunque momento della shopping journey, misurando in modo puntuale l’effetto sulle vendite. Si tratta di un mercato che in Usa, dove è dominato da Amazon, vale già 45 miliardi di dollari, ovvero il doppio della pubblicità tv e il 17% della spesa totale in digital advertising. Si tratta di un’opportunità per fare margine che cresce a doppia cifra, e che porta in primo piano la rilevanza dei dati di cliente di prima parte posseduti dai retailer e raccolti attraverso programmi loyalty e altri touchpoint digitali proprietari. L’obiettivo di monetizzare i dati, più facilmente di quanto non si potesse in passato, manterrà elevato l’interesse per le iniziative di fidelizzazione in tutte le loro forme, in tutti i settori.
Volendo trarre alcune indicazioni trasversali dai diversi trend su cui ci siamo soffermati, possiamo dire che essi hanno in comune il fatto di spingere le imprese a fare piani per un futuro che sarà omnicanale, creare awareness e engagement in un ambiente digitale sempre più affollato (il che richiede di essere mirati e rilevanti), sviluppare esperienze social e gamificate, capire il panorama dei retailer media per fare personalizzazione e sfruttare i dati degli shopper, sviluppare programmi fedeltà omnicanale che attivino specifici segmenti chiave di clienti sulla base dell’insight.
Cristina Ziliani
È professore ordinario di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Loyalty marketing e Customer relationship management. Dal 1999 è responsabile dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma. È autrice di oltre 60 articoli scientifici e 5 libri sui temi del loyalty marketing e data driven marketing. Nel 2020 ha pubblicato con il collega Marco Ieva, per l'editore internazionale Routledge "Loyalty Management: from Loyalty Programs to Omnichannel Customer Experiences". www.osservatoriofedelta.it