Un matrimonio di successo richiede di innamorarsi molte volte, sempre con la stessa persona”. Questo è quel che pensava Mignon McLaughlin, brillante giornalista di Vogue e poi managing director di Glamour, che di matrimoni più o meno celebri ne aveva seguiti e commentati tanti. In senso metaforico, il concetto si può traslare al marketing, ma non a quello di prodotto, bensì molto più propriamente al marketing@retail. La relazione tra un cliente e un’insegna è, infatti, più labile e articolata di quella che esiste tra una marca e un consumatore. Sempre restando sul piano metaforico, potremmo così affermare che un prodotto di consumo è una ragazza o un ragazzo che restano sempre belli, sempre giovani, sempre sé stessi. Un’insegna, al contrario, cambia e invecchia ogni giorno perché muta il suo assortimento, ma soprattutto perché variano di poco o di tanto le preferenze, i bisogni, i desideri espliciti o latenti dei suoi clienti.
E veniamo alla classica domanda: “Ma quanto bene mi vuoi?”. Nel caso di una marca, la prova ripetuta dell’affetto dei consumatori è dimostrabile attraverso l’apprezzamento di specifiche caratteristiche fisiche. Amo il suo sapore, il suo packaging, la sua unicità, la sua personalità descritta dalla pubblicità. Nel commercio l’amore si misura, invece, solo attraverso l’eterea, prosaica dimensione monetaria, data l’eterogeneità del venduto. Di una marca si può spiegare perché sia amata più di altre. Per un’insegna il compito è molto più difficile. La quota di mercato a valore è infatti la sottile linea tra un lunghissimo passato e un futuro avvolto nella nebbia dell’incertezza. Tuttavia, l’economia applicata ha prodotto un concetto che può risolvere il problema collegando passato e futuro, focalizzandosi su ciò che chiamiamo customer goodwill.
Parliamo dunque di un valore immateriale che le aziende della distribuzione accumulano grazie a due componenti fondamentali: a) fornendo una serie di prodotti e (sempre di più) di servizi ai clienti, i quali li percepiscono e li trasformano attraverso un processo sensoriale e mnemonico in una loro astrazione, chiamata qualità; b) richiedendo tanti piccoli apporti di denaro che sono sottoposti alla razionalità soggettiva delle scelte e che confluiscono nel prezzo dell’insieme. Il ritorno psicologico della clientela che ripete la visita al supermercato non è quantificabile: è difficile da misurare e categorizzare e, anche in questo caso, non esiste la soluzione unica e ottimale, ma solo dei trade-off, dei compromessi. Così, fedeltà, curiosità, opportunismo, ansia, pigrizia, casualità si mischiano in vari momenti della vita in cui occorre decidere dove comprare. Ma ciascuno è sempre in grado di giudicare, tra le alternative a disposizione, qual è il trade-off che lo soddisfa maggiormente. Ne discende che per misurare il customer goodwill abbiamo ritenuto che il miglior metodo fosse chiedere semplicemente (ma su larga scala) a chi si occupa degli acquisti familiari: “tra tutte le insegne che hai detto di conoscere per avervi fatto recentemente un’esperienza di acquisto, qual è quella che nell’insieme ti offre il miglior rapporto qualità/prezzo?”. Senza far sfoggio di troppa cultura, ci troviamo di fronte a un punto cruciale per ogni ricerca di mercato, ovvero la drammatica scoperta di Nietzsche, dell’originaria improprietà della parola, del cortocircuito insanabile che si determina nella circolarità metafisica del discorso e della verità. Che cos’è la “qualità”? Che cos’è il “prezzo”? E cosa un rapporto tra i due? Ricerche di natura quantitativista pretendono di comparare il prezzo aggregato di un’insegna o di un’altra, così come la qualità della loro offerta. In realtà, i due termini sono inscindibili, come in fisica lo sono la posizione e la quantità di moto di una particella atomica. Tuttavia, data la nostra premessa, chiunque è in grado di esprimere una preferenza astratta, complessiva, per un’insegna tra quelle che conosce, cioè il goodwill accumulato nei suoi confronti.
Il goodwill gioca un ruolo importante nel rapporto a lungo termine con i clienti. Si può dire che proietta il passato nel futuro fornendo una rete di sicurezza nel caso inevitabile in cui l’azienda commetta qualche errore. È una sorta di polizza assicurativa con i propri clienti, che motiva il beneficio del dubbio quando qualcosa va storto o a fronte di una nuova apertura di eventuali competitor. I clienti che condensano la loro soddisfazione e la reputazione dell’insegna nel riconoscimento del “Miglior Rapporto Qualità/Prezzo” però sono poligami e la loro poligamia dipende dal numero di tentazioni offerte loro. L’hinterland milanese è la nursery delle insegne che vi nascono incessantemente o vi entrano a fianco di quelle incumbent, cioè di quelle storiche come Esselunga, Coop o Carrefour. La loro clientela, pertanto valuta le nuove opportunità offerte, vi trova qualche vantaggio; ma se il goodwill pregresso è alto l’erosione del business opererà al margine. Viceversa, nelle aree a più bassa densità di insegne, l’effetto dirompente delle nuove aperture sarà maggiore. Noi citiamo, come esempio vissuto, il comune di Opera nell’hinterland milanese dove per decenni vi era un solo supermercato Coop piuttosto distante da un Eurospin. In tempi recenti sono stati aperti un Md, un U2, due Tigotà e poco lontano un Tigros. In questo caso, aumentando il numero delle alternative, la distribuzione del goodwill si è appiattita: le insegne preesistenti perdono qualcosa, le nuove devono guadagnarsi la loro reputazione. Un altro aspetto riguarda i formati di vendita. Se consideriamo un’insegna come Tosano, che opera soltanto con ipermercati, risulta chiaro che, a ogni nuova apertura, il goodwill complessivo dell’azienda avvertirà una diminuzione per le ragioni descritte in precedenza, per poi rafforzarsi mano a mano si andrà stabilendo un rapporto di fiducia e di apprezzamento della clientela attratta da altre insegne.
L’argomentazione che si cela dietro il semplice concetto di customer goodwill introdotto in questa sede si rivela, insomma, molto complessa e, concludendo, dobbiamo convenire su un punto. La ricerca applicata al marketing@retail è agli albori. Rispetto alle facili generalizzazioni, richiede invece un metodo che, in primo luogo, isoli scientificamente le diverse situazioni territoriali che compongono il mosaico delle presenze locali di ogni insegna della distribuzione moderna. Come in ogni matrimonio, la fedeltà varia in base a diversi contesti. Probabilmente è molto meno solida tra le coppie inserite nello star system hollywoodiano, che non tra gli abitanti di uno sperduto paese dolomitico. Cambiare insegna a Rozzano (Mi) è quasi certamente più facile che non a Lizzano Belvedere (Bo). In breve, farsi amare molte volte dai clienti è un progetto arduo e pone ogni giorno la domanda che turbava le The Bangles “Am I only dreaming? Or is this burning (burning) an eternal flame?”.