Catullo lo scriveva in uno dei suoi più famosi carmi, odi et amo: un sentimento contrastante che ci tiene incollati all’oggetto del desiderio nonostante le difficoltà. Così accade anche alla filiera del retail media, dove, però, gli attori sono tanti e le relazioni assai complesse. Se in passato si pensava che il retail media fosse tipicamente composto solo dalla diade retailer e industria di marca, oggi lo scenario è molto variegato grazie – o a causa – dell’ingresso di concessionarie, centri media, agenzie di comunicazioni, trade desk, publisher e partner tecnologici.
Non esiste a oggi un modello ottimale per la gestione ma è sicuramente vero che all’interno delle organizzazioni, qualunque sia il ruolo nella filiera, il retail media richiede un cambio organizzativo. A ogni modello corrisponde un diverso assetto delle relazioni e spesso possono esserci più interlocutori per lo stesso processo di offering o buying. Da un lato è importante capire come il retailer operi il retail media, se con il modello del make o del buy, ossia se sia strutturato internamente per gestire il prodotto e la vendita o se esternalizzi completamente la gestione. La maggior parte dei retailer non è in grado di avere una struttura verticale che si occupa di questo mercato (make) e, a eccezione di Tesco, Walmart e pochi altri, la soluzione più rapida è far gestire tecnologia e commercializzazione a partner specializzati (buy).
In alcuni casi il retailer adotta solo soluzioni tecnologiche, come le piattaforme di retail media integrate per la gestione dell’onsite o dell’offsite, e rivende direttamente, attraverso la propria forza vendita, i placement di retail media. Più tipicamente i partner tecnologici non si occupano solo di tecnologia ma svolgono anche il ruolo di concessionaria per il retail, occupandosi anche della fase di vendita. Lato offerta quindi sul mercato operano i retailer, le concessionarie e le centrali di retail media, come quella da poco creata da Carrefour e Publicis, Unlimitail, che è in grado di unire a una tecnologia uniforme, un processo di vendita standard su più retailer verticali. Lato buying non è semplice orientarsi, anche perché, spesso, ci sono modelli misti, dove l’instore è gestito da un concessionario, mentre l’onsite è gestito direttamente dal retailer e ancora più concessionari gestiscono diversi touch point.
Districarsi tra i diversi modelli è una sfida che centri media e brand stanno cercando di affrontare strutturando divisioni dedicate, con competenze specifiche che uniscono la conoscenza del media a quella del trade marketing. Quello che manca, a oggi, è un approccio olistico all’offerta, con player capaci di gestire tutti gli asset, in grado di costruire un vero percorso cliente omnicanale che sappia sfruttare le potenzialità di ogni touchpoint. Gli inserzionisti cercano economie di scala, efficienza non solo dei costi ma anche del tempo di gestione: la semplificazione o, per meglio dire, la standardizzazione della filiera è la chiave per far crescere questo mercato soprattutto in un contesto frammentato e parcellizzato come quello italiano.