Per le aziende italiane il programma fedeltà è un must have

Per fidelizzare la clientela è oramai dominante l’impiego di programmi fedeltà: dichiara di utilizzarne uno il 77% dei rispondenti nel b2c, dato superiore al 70% dello scorso anno e al 60% del 2021. Si assottigliano sempre di più le fila di quanti non l’hanno introdotto e non hanno intenzione di farlo in futuro: tra quanti non lo adottano (il 23%), infatti, quasi la metà lo avvierà nel giro di un anno (il 42%). Anche in ambito b2b, dove non commentiamo i dati numerici data la ridotta numerosità, si possono però individuare le stesse tendenze generali. È la sintesi di quanto emerge dalla ricerca aziende 2024 dell’Osservatorio Fedeltà dell’Università di Parma. Il programma fedeltà è prevalentemente visto come centro di profitto dai vertici aziendali (68% delle aziende, erano il 50% lo scorso anno) e anche da tutti quanti lo introdurranno in futuro. Resta un po’ più “difficile da convincere” su questo fronte l’industria, rispetto a retail e servizi.

Per misurare il raggiungimento degli obiettivi del programma si usa una varietà di kpi: a seconda degli anni registriamo tra i più usati o la % di transazioni/ fatturato riconducibili agli iscritti al programma (al primo posto quest’anno) o le vendite/fatturato (che però non possiamo sostenere sia l’indicatore più adatto!) o ancora il tasso di attività degli iscritti al programma (che era al primo posto l’anno scorso) o infine il tasso di retention. Aumenta la diffusione del cltv, che resta però molto meno usato in Italia rispetto all’estero, stando ai benchmark internazionali. Per quanto riguarda il roi del programma fedeltà, lo calcola un’azienda su due, come già registrato nel 2023 ed è positivo per il 90% di costoro, dato in linea con i benchmark esteri.

Il redesign della loyalty. Un modo di apprezzare la performance del programma fedeltà è anche quella di rispondere a due domande. La prima: i clienti classificati come “fedeli” sono aumentati o meno rispetto all’anno precedente? Solo il 55% delle aziende registra un aumento. La seconda: è aumentato il numero di nuovi iscritti al programma? Qui, il 62% delle aziende conferma, mentre per le altre il numero è invariato o in diminuzione. A fronte di una situazione non soddisfacente su questi due indicatori, così come per altri motivi che ci hanno riferito i rispondenti, due aziende su tre stanno considerando un redesign del programma fedeltà o più in generale della strategia di fidelizzazione. Si tratta di un tema che abbiamo iniziato ad affrontare nella primavera di quest’anno con i webinar dell’Osservatorio e, visto l’interesse suscitato, lo abbiamo inserito anche nella ricerca annuale dell’Osservatorio che discutiamo in questo articolo. In occasione del primo webinar dedicato al tema del redesign della loyalty abbiamo lanciato un sondaggio al quale hanno risposto 182 manager. Il 45% di loro sentiva il bisogno di rinnovare la loyalty strategy – un concetto più ampio rispetto al rinnovo del programma fedeltà e che riguarda anche le aziende che fanno fidelizzazione senza usare un programma, per esempio tramite il crm o la customer experience. Potendola ridisegnare, il 37% avrebbe fatto la strategia di fidelizzazione più esperienziale, il 23% più omnicanale e il 16% più orientata a raccogliere i dati di cliente. Dalla Ricerca Osservatorio emerge che il 78% dei rispondenti b2c conferma che in azienda stanno pensando di ridisegnare uno o più aspetti del programma. Anche i vendor hanno la stessa percezione: più di due clienti su tre stanno pensando al redesign. Tra i motivi principali che stimolano questo bisogno di rinnovamento, le aziende citano: migliorare l’engagement delle persone (clienti e dipendenti) e il valore condiviso con i clienti tramite il programma; essere più in linea con i nuovi comportamenti di acquisto dei clienti; canalizzare meglio gli investimenti inerenti la loyalty/retention su specifici cluster di clienti; ridurre i costi attuali del programma, in particolare legati al fatto che è elevata la percentuale di conversione dei punti in sconti. Abbiamo fatto la stessa domanda anche ai vendor i quali, parlando del bisogno di redesign dei clienti, concordano con le ragioni sopra citate e in più ci ricordano che spesso il motore sono i risultati deludenti: “Hanno riscontrato perdita di attrattività, scarso engagement, minore risposta dei clienti rispetto a prima”; “Non sono soddisfatti del tasso di partecipazione al programma e/o alle campagne”; “Devono migliorare la performance del programma per quanto riguarda l’impatto sulle vendite”. Ricordiamoci che oggi si misura di più, e meglio, rispetto al passato, e le misure di performance della loyalty vengono condivise più spesso e routinariamente all’interno dell’azienda.

Anche questa maggiore consapevolezza di “come stiamo andando” contribuisce al desiderio di redesign, oltre all’affollamento di programmi nel mercato (ricordiamo i numeri citati in apertura) e all’incalzante ritmo dell’innovazione tecnologica che potrebbe essere introdotta a supporto della customer experience nel front o nel back end.

Andando più in profondità sull’argomento del redesign, e tornando ai risultati della ricerca, quali aspetti del programma fedeltà si pensa di ridisegnare? Ai primi posti troviamo da un lato i “vantaggi” offerti, che è peraltro la parte più “variabile” del programma, che richiede di necessità periodici aggiustamenti; dall’altro è interessante che un’azienda su quattro voglia rinnovare le tecnologie abilitanti della loyalty, a fronte dei cambiamenti veloci che accadono su questo fronte, e ricordando anche che i programmi loyalty in molti casi esistono da tanti anni e si fondano su sistemi legacy che non offrono tutti i gradi di libertà che si vorrebbero. Peraltro il 40% degli intervistati ha intenzione di rivedere la scelta della piattaforma loyalty entro un anno (il che per molti significa dotarsi per la prima volta di una piattaforma loyalty). Il retail poi si sta interrogando su come si possa rinnovare la meccanica e come coinvolgere meglio il personale di contatto; l’industria guarda con attenzione alla tecnologia per poter fare loyalty, in particolare perché permette di accedere a nuovi touchpoint digitali. Al riguardo emerge chiaramente come Whatsapp sia il touchpoint più “caldo” quest’anno per quanto riguarda la customer journey – è salito al terzo posto tra i touchpoint sui quali si investirà di più, mentre fino al 2023 non era nemmeno in classifica. Infine, il mondo dei servizi sembra quello che ha l’approccio più strategico al redesign, perché pensa innanzitutto a utilizzare meglio l’insight e a inserire il programma in un più ampio sforzo di digitalizzazione.

Redesign e tecnologie. Ripensare la loyalty strategy non vuole dire “cambiare i tools”: prima è necessario partire dalla strategia, non dal programma né dagli strumenti. E partire dalla strategia significa definire cosa l’azienda vuole fare in termini di customer experience, mappando la customer journey per scoprire dove sono e quali sono le opportunità di fidelizzazione. Poi bisogna fare ricerca sui clienti per scoprire cosa è più importante per loro, non per noi, tra le varie opportunità che abbiamo individuato. Solo a questo punto possiamo decidere se l’approccio alla loyalty che abbiamo attualmente risponde a quelle che abbiamo individuato come le opportunità da perseguire. Se abbiamo già un programma, ecco che quanto scoperto nella prima fase può indirizzarci nelle scelte più operative successive, circa i vantaggi, la meccanica o altro. Per intercettare i clienti, i loro bisogni, i loro cambiamenti, le aziende sanno che è necessario disporre di insight e poi lavorarci, condividendoli in azienda tra funzioni e livelli gerarchici. Ma a che punto siamo con l’uso degli analytics? Il 57% delle aziende dice di basarsi su reportistica per fare analisi storiche, mentre ancora un’azienda su cinque si dichiara non in grado di fare alcuna previsione su comportamenti e bisogni futuri. L’uso del predictive analytics e dei modelli di propensity per calcolare probabilità a livello di singolo cliente è presente solo nel 17% delle aziende b2c, peraltro quasi esclusivamente nei servizi, ed è praticamente assente nel b2b. La situazione è sostanzialmente invariata rispetto all’ultima rilevazione che abbiamo effettuato sull’argomento nel 2021! Se è vero che uno dei motivi per cui si sviluppano programmi loyalty è raccogliere dati per tradurli in insight, su questo fronte è necessario un cambio di passo. Il tema dell’intelligenza artificiale, in particolare predittiva, è molto promettente, per quanto riguarda la fidelizzazione, perché vi sono diversi ambiti dove può portare miglioramenti all’esperienza utente o all’efficienza dei processi aziendali.

In figura abbiamo riportato gli ambiti di applicazione dell’Ai che interessano maggiormente i nostri intervistati. Indubbiamente l’ambito dell’ottimizzazione dei processi di marketing e quello dell’assistenza clienti personalizzata sono quelli dove sono stati fatti i maggiori progressi, mentre altri sono ancora poco noti. La rilevanza dei canali automatizzati di customer care emerge anche dalla classifica dei touchpoint sui quali si investirà di più: ha guadagnato molte posizioni rispetto agli scorsi anni, perse dalle pagine sui social network, ma anche dai concorsi o dalle app, che hanno invece assorbito buona parte degli investimenti sui touchpoint nell’ultimo quinquennio. Si consideri peraltro che la ricerca in ambito Ai sta andando rapidamente incontro alle esigenze del business. In particolare: l’Ai sta diventando multimodale, ovvero i modelli vengono progettati fin dall’inizio del trattare tanti tipi di dati tra cui video, audio, immagini oltre che testo, rimanendo robusti e capaci di fare previsioni; i modelli stanno diventando più piccoli, ovvero in grado di consumare meno risorse, in primis l’energia, e in grado di funzionare su device, innanzitutto su smartphone, senza aver bisogno del cloud; sta diventando open source o meglio “open-weight”, il che consente a più soggetti di svilupparla, rendendola più democratica; infine, stanno nascendo modelli business specific, che servono business di nicchia e non scopi generali come Chat Gpt. Sono gli stessi fornitori dei grandi strumenti generalisti a offrire ai vari settori la possibilità di ottimizzare i modelli per essere accurati e performanti sui bisogni specifici. Nei prossimi anni assisteremo quindi a un rapidissimo “salto” in avanti dell’adozione aziendale di questi strumenti.

Cristina Ziliani

È professore ordinario di Marketing all'Università di Parma, dove insegna Loyalty marketing e Customer relationship management. Dal 1999 è responsabile dell’Osservatorio Fedeltà dell'Università di Parma. È autrice di oltre 60 articoli scientifici e 5 libri sui temi del loyalty marketing e data driven marketing. Nel 2020 ha pubblicato con il collega Marco Ieva, per l'editore internazionale Routledge "Loyalty Management: from Loyalty Programs to Omnichannel Customer Experiences". www.osservatoriofedelta.it