Customer complicity, un comportamento da incentivare

Marilde Motta18/12/2024

Il termine “customer complicity”, in origine, riecheggiava nelle aule giudiziarie per definire il comportamento di acquisto di prodotti contraffatti di noti brand. Atto illecito sia per quanto attiene la produzione e vendita sia per quanto concerne l’incauto acquisto del consumatore che si fa complice dei contraffattori.

Da una quindicina d’anni si studia invece la complicità anche come fenomeno tribale (sia in relazione ai consumatori che sui social diventano sodali nell’agire contro un’azienda, gli hater, sia in relazione al tuangou, termine cinese che designa un comportamento collettivo per cui le persone si accordano via social di andare in un negozio e di acquistare tutti lo stesso prodotto, chiedendo al gestore un prezzo molto scontato). Il marketing, nella sua infinita creatività, ha preso “in prestito” la customer complicity e l’ha estrapolata totalmente da un contesto criminoso, o comunque negativo, portandola nell’alveo della relazione positiva e sicura con la marca.

Il tema della complicity è molto studiato, dal lato psico-sociale, dalla fine degli anni ’90 nel settore dei servizi, dove l’intesa fra chi acquista e l’addetto alle vendite si può arricchire di varie sfumature psicologiche diventando nel tempo affiatamento privilegiato, ergo autentica soddisfazione del cliente e infine fedeltà. È proprio il lato positivo della complicità (che diventa cooperazione reciproca) che consente di sviluppare il potenziale di affettività del consumatore verso la marca alla condizione però che, nel contempo, la marca metta in atto una concreta generosità verso il cliente (generosità come viene definita dall’Emotionally Intelligent Brand Index, messo a punto dal Luxury Institute e dalla Columbia Business School).

Dominique Antonini, professoressa di marketing alla Kedge Business School, ha approfondito ogni aspetto della complicity individuandone le caratteristiche e le modalità di azione. Ne riprendo alcuni elementi che possono tornare utili quando li si vuole trasferire nell’ambito della relazione della marca con i clienti e si voglia puntare a consolidare la loyalty. Gli antecedenti che possono scatenare la complicità risiedono in azioni specifiche che consentono interazioni possibilmente fra più partecipanti (da qui la validità di alcune forme di gamification, di videogiochi, di eventi come le escape room che richiedono cooperazione fra diverse persone).

Emozioni condivise, ma anche una convergenza di pensiero razionale per risolvere i giochi, sintonia nelle azioni e reazioni creano forti legami di complicità, mentre la componente di divertimento è spesso l’humus che tiene tutto unito e crea un “momento magico”. La complicità è uno stato mentale, ma anche un processo dinamico che implica coesione, instaura una relazione privilegiata fra due o più persone e in questo contesto la marca deve guidare il gioco per attrarre a sé gli effetti positivi della complicità. Quel che le ricerche psico-sociali mostrano è che il reward è spesso dato dalla gratificazione immateriale di sentirsi complice della marca.

Marilde Motta

Nella comunicazione dal 1978, in costante aggiornamento e approfondimento. Ho scelto le pubbliche relazioni come professione, dedicando attenzione a promozioni e direct marketing, su cui scrivo. Amo all’unisono il silenzio, i libri e i gatti. contatti@adpersonam.eu